Riforma costituzionale: gli stessi effetti della proposta Meloni con una legge elettorale

Senza toccare la Costituzione “più bella del mondo”, si potrebbe ottenere una maggiore solidità del governo e dare ai cittadini un reale potere di scelta del governo e dei parlamentari.

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Riforma costituzionale

Con la proposta di riforma costituzionale lanciata dal premier Giorgia Meloni si vorrebbe giungere ad un rafforzamento della forma di governo, ma non troppo, visto che il premierato proposto sarebbe comunque dimezzato, con la nomina dei ministri che rimane in capo al presidente della Repubblica, così come in caso di dimissione del premier tocca sempre al capo dello Stato operare per trovare un’alternativa all’interno della stessa coalizione uscita vittoriosa dalle urne.

Oggettivamente, come si è già scritto su queste colonne, per una riforma costituzionale è un po’ poco, specie in considerazione dei tempi e delle procedure necessarie per arrivare alla sua approvazione, lasciando praticamente invariato l’attuale assetto dei poteri suddivisi tra presidenza della Repubblica, governo e parlamento, il quale continua a rimanere con due camere a specchio, con l’una che replica l’altra, raddoppiando le procedure e i tempi per l’approvazione dei provvedimenti.

Gli stessi obiettivi di rafforzamento del governo si potrebbero ottenere senza imbarcarsi nel procedimento di riforma costituzionale, ma agendo sulla legge elettorale, cambiando l’attuale “porcata”, come l’ha definita il suo estensore, il ministro leghista Roberto Calderoli. Basterebbe prevedere un sistema elettorale proporzionale, basato su collegi esclusivamente uninominali per l’elezione di 400 deputati e 200 senatori, assegnando al partito o alla coalizione che raggiunga almeno il 45% dei voti il 55% dei seggi in ciascuna camera. Se nessun partito o coalizione raggiunge tale soglia, si va al ballottaggio 15 giorni dopo, con i due principali partiti o coalizioni che si confrontano con il giudizio elettorale finale. Al vincitore, va il 55% dei seggi, ai perdenti il 45%.

Il candidato presidente di ciascun partito o coalizione uscente vittorioso dalle urne sarebbe il candidato naturale per ricevere da parte del presidente della Repubblica l’incarico di formare il governo, così come è accaduto in Italia dal 1994 al 2008, visto che non ci sarebbero i numeri parlamentari per trovare scenari politici differenti.

Passo ulteriore, al momento non previsto dalla proposta di riforma Meloni, la previsione, così come già accadeper l’elezione dei presidenti di Regione o dei sindaci delle città, che in caso di dimissioni del capo di governo o, tocca ferro, in caso di morte o di impossibilità a svolgere il mandato, il parlamento viene sciolto e si va a nuove elezioni. Questo passaggio per qualcuno potrebbe essere un ricatto nei confronti dei parlamentari – per i quali sussiste il divieto di mandato imperativo e, quindi, sarebbero legittimati a fare il girotondo tra diverse maggioranze – e uno svilimento dei poteri del capo dello Stato, che oggi gli danno il potere di cercare soluzioni alternative per evitare le elezioni anticipate, ma potrebbe essere anche un’assicurazione nei confronti del premier e leader di coalizione di fedeltà politica da parte dei singoli parlamentari o di qualche capo corrente di partito.

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Di fatto, una proposta di questo genere, oltre ad essere più semplice e rapida da attuare, avrebbe numerosi vantaggi, a partire da quello di consentire anche all’opposizione di aderire, visto che la Costituzionepiù bella del mondonon viene toccata. Il premier ne verrebbe sicuramente rafforzato, potendo contare su una maggioranza certa. Avrebbero vantaggi anche gli elettori che, oltre ad essere maggiormente motivati ad andarea votare, con una legge elettorale basata esclusivamente su collegi uninominali avrebbero la possibilità di bocciare candidati impresentabili o inadeguati, evitandone la loro elezione, oggi purtroppo garantita specie dalle liste bloccate della quota proporzionale, dove i viari leader di partito infilano personaggi scelti con il criterio della fedeltà assoluta, anche se meri incapaci. In più, con il ballottaggio del secondo turno, l’elettoreavrebbe una reale possibilità di scelta sugli scenari politici del Paese.

E’ troppo sperare che da Meloni, Schlein e altri capi e capetti politici ci sia un rinsavimento e una condivisione di questo scenario che sarebbe vincente per tutti, vincitori, perdenti ed elettori?

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