Le imprese italiane, specie se Pmi, sono senza credito: nell’ultimo anno in cui i dati sono disponibili (agosto 2023 rispetto allo stesso mese del 2022), gli impieghi bancari vivi alle imprese italiane sono diminuiti del 7,7%. In termini assoluti la contrazione è stata pari a 55,8 miliardi di euro. La riduzione alle realtà imprenditoriali con meno di 20 addetti, costituiscono il 98% circa delle aziende totali presenti in Italia, è stata dell’8,7%; quelle di dimensione superiore, invece, hanno subito un “taglio” un po’ più contenuto e, precisamente, del 7,5%.
Secondo l’Ufficio studi della Cgia di Mestre, in linea di massima le cause della riduzione dell’erogazione di credito sono almeno tre e molto legate tra loro. In sintesi esse sono:
- l’aumento dei tassi di interesse imposto dalla BCE in questo ultimo anno ha reso molto costoso indebitarsi. Pertanto, molte imprese, soprattutto di media/grande dimensione, hanno preferito ricorrere a forme di autofinanziamento;
- il calo dei volumi di credito è correlato anche alla frenata del Pil nazionale che ha provocato una flessione della domanda di prestiti;
- le banche hanno meno liquidità a disposizione sia perché devono restituire alla BCE i fondi Tltro (altri 174 miliardi di euro entro settembre 2024), sia perché la raccolta è diminuita.
La combinazione di questi fenomeni ha spinto molti istituti a “sacrificare” il credito più complicato: ovvero quello da erogare alle piccole e piccolissime imprese che, tendenzialmente, presenta costi di istruttoria relativamente più elevati e una gestione amministrativa molto laboriosa.
Senza credito una impresa, soprattutto piccola, non può fare investimenti, spesso è costretta a ritardare i pagamenti ai fornitori e nei casi più critici inizia a non versare con regolarità gli stipendi ai propri dipendenti. Per evitare che tutto questo provochi una chiusura definitiva dell’attività o, peggio ancora, che i titolari scivolino nella rete tesa dalle organizzazioni criminali che, in questi momenti, sono sempre disponibili a prestare soldi ad aziende in difficoltà, è necessario che il Governo intervenga subito, rifinanziando il Fondo di Garanzia per le Pmi che era stato potenziato nel periodo del Covid. Grazie a questo strumento rivisitato, molti istituti di credito si troverebbero nelle condizioni di prestare i soldi senza correre alcun rischio di veder aumentare a dismisura le insolvenze. La Cgia ricorda che tra il marzo 2020 e il giugno 2022, per sostenere le Pmi colpite dall’emergenza pandemica il Fondo di Garanzia ha garantito oltre 256,8 miliardi di euro di prestiti.
Tra le aziende con meno di 20 addetti, nell’ultimo anno (agosto 2023 sullo stesso mese del 2022), la riduzionedel credito è stata pari a 10,6 miliardi di euro (-8,7%). Attualmente, l’ammontare complessivo dei prestiti bancari erogati alle piccolissime imprese è di 111 miliardi di euro. La contrazione regionale più importante ha riguardato le realtà delle Marche (-11,1% pari a un valore assoluto di -421 milioni di euro). Seguono quelle del Veneto (-10,2% pari a -1,3 miliardi di euro), del Friuli Venezia Giulia (-10,1% che corrisponde a -265 milioni di euro) e della Lombardia (sempre -10,1% pari a -2,3 miliardi di euro) e, leggermente distanziata, dall’EmiliaRomagna (-9,4% e -1,17 miliardi). Le situazioni meno “critiche” si sono verificate in Sardegna (-6,7% pari a -178 milioni di euro), in Trentino Alto Adige (-6,4% pari a -515 milioni di euro) e, in particolar modo, nel Lazio(-6,3% pari a -481 milioni di euro).
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