Complice la cura da cavallo inflitta all’economia europea da una discutibilissima presidente della Banca Centrale europea, la francese Christine Lagarde, che nel giro di un anno scarso ha portato i tassi dallo zero al 4,5%, con la possibilità di ulteriori rialzi tra un paio di settimane, i bilanci dei paesi Ue iniziano a scricchiolare, con la tenuta economica sempre più debole: dopo la Germania in crisi da due trimestri consecutivi, nel secondo trimestre 2023 va in negativo pure l’Olanda e anche l’Italia.
«Nel 2023 cominciano a manifestarsi i primi segnali di scricchiolio della tenuta economica dell’Italia, per il convergere di una serie di fattori (tra tutti credit crunch e inflazione) il cui impatto produrrà effetti negativianche nel 2024, tanto da potere portare a una revisione al ribasso delle stime di crescita del Pil, diversamente da quanto avvenuto negli anni passati» dichiara il segretario generale di Competere.Eu. Roberto Race, nel presentare l’analisi del pensatoio sull’andamento dell’economia italiana.
«Per il Governo – spiega Race – ciò potrebbe tradursi in minori risorse da destinare a famiglie in difficoltà o nella necessità di aumentare le entrate fiscali oltretutto ciò avverrebbe in un contesto europeo nel quale sono elevati i rischi di un ritorno alle vecchie regole del patto di stabilità a partire dal 2024, rischio che deve essere scongiurato e che richiede un deciso intervento del Governo italiano in Europa per definire regole più in linea con le necessità che i tempi attuali, diversi dal passato, richiedono».
Secondo Race «il dibattito sulla crescita economica italiana è stato caratterizzato, giustamente, negli ultimi due anni da accenti campanilistici di entusiasmo per la dinamica positiva registrata in Italia, dove l’andamento del Pil è stato migliore di quello rilevato nelle altre principali economie europee».
«I “driver” che hanno sostenuto questa dinamica – sottolinea Race – sono stati gli investimenti (specie in costruzioni), spinti da incentivi e da Pnrr, e le esportazioni, in un contesto di una sostanziale tenuta dei consumi(grazie all’extra risparmio accumulato durante la pandemia), nonostante la perdita di potere d’acquisto dovuta all’aumento dell’inflazione. I livelli di Pil attuali sono superiori di circa due punti percentuali quelli pre–Covid, mentre in Germania ancora non è stato chiuso il gap e in Francia il distacco è inferiore a quello dell’Italia».
«Molti previsori, nazionali ed esteri – continua Race – sono stati costretti a rivedere continuamente al rialzo i tassi di crescita del Pil italiano: basti citare il caso emblematico del Fondo Monetario Internazionale che nell’ottobre scorso aveva previsto un calo del PIL dello 0,2% per il 2023 e oggi, nell’ultimo aggiornamento, stima un incremento dell’1,1% per quest’anno e dello 0,9% per il 2024. Sono valori in linea con quelle degli altri principali previsori: l’Istat prevede, rispettivamente, +1,2% e +1,1%, la Banca d’Italia 1,3% e 1,0%, l’Ocse +1,2% e +1,0%, l’Upb +1,0% e +1,1% e il Governo +1,0% e +1,5% (nel Ded). Ma queste sono – afferma Race– stime credibili? Ci sono molti segnali che alzano i livelli di allarme e preannunciano consistenti rischi al ribasso, ma che non sono ancora colti dai principali osservatori. Secondo l’Istat, nel secondo trimestre 2023 il Pil italiano è diminuito dello 0,3% sul primo, andando peggio delle attese di tutti i previsori. Ciò ha portato la crescita acquisita (cioè quella che si avrebbe se il Pil ristagnasse nei successivi due trimestri dell’anno) allo 0,8%. Raggiungere variazioni superiori all’1,0% significherebbe dovere crescere nella seconda parte dell’anno. Ma ci sono – chiede – le condizioni per avere un’espansione del Pil? Vi è un’estrema incertezza ma diversi fattori presagiscono un peggioramento, non un miglioramento».
«Il rischio più grave all’orizzonte – sostiene Race – è quello del credito: i tassi ai quali oggi si possono ottenere finanziamenti, sia per famiglie che per imprese, sono ai massimi degli ultimi dieci anni. Ciò si sta già riflettendo in un calo della domanda dei prestiti che è particolarmente marcato per le imprese, le quali stanno rinviando le decisioni di investimento anche in considerazione del fatto che si attendono un rientro dei tassi su valori più bassi nel giro di uno-due anni. Lo stesso sta accadendo per le famiglie: la variazione annua dei prestiti è quasi azzerata e ciò incide sugli acquisti di beni durevoli (rinvio degli acquisti di case, per esempio), con ricadute significative anche sul settore delle costruzioni che risente del calo delle compravendite immobiliari. Il “credit crunch” è acuito dalla richiesta di maggiori garanzie da parte delle banche che, adesso, sostengono solamente le imprese più solide, per limitare i rischi».
«L’inflazione – scrive Race – sta decelerando, la dinamica annua dei prezzi al consumo si è quasi dimezzata dai picchi di fine 2022, ma resta ancora elevata. In un contesto di andamento basso delle retribuzioni, ciò riduce il potere d’acquisto delle famiglie – in particolare di quelle meno abbienti – e intacca i consumi che non vengono più sostenuti dal risparmio accumulato durante la pandemia, ormai quasi esaurito. Il crollo dell’import e le recenti dinamiche del turismo, rilevate dall’Istat nei giorni scorsi, riflette la bassa dinamica della domanda internaed è un segnale da non sottovalutare».
«Anche sul turismo c’è un dibattito molto acceso. Statistiche disponibili, non solo quantitative ma anche qualitative, ed evidenze empiriche mostrano che la spinta del turismo sta gradualmente venendo meno ed è mantenuta prevalentemente dalla spesa dei viaggiatori stranieri – prosegue l’analisi di Race -. Le famiglie italianeanche per la combinazione di inflazione e tassi elevati hanno ridotto la spesa e la durata media dei soggiorni turistici. Ma ci sono anche alcuni fattori positivi che potrebbero contribuire a limitare l’effetto recessivo derivante da “credit crunch” e inflazione: il mercato del lavoro sta mostrando una buona tenuta e la decelerazione della dinamica annua dei prezzi se associata a un graduale rinnovo dei contratti collettivi (circa il 50% dei lavoratori ha un contratto scaduto) porterebbe a un recupero del potere d’acquisto delle famiglie liberando spazio per i consumi. Inoltre, il rispetto della tabella di marcia prevista dal Pnrr aiuterebbe a sostenere gli investimenti, ma su questo fronte ci sono diverse perplessità e sono possibili alcune revisioni che potranno ridurre la portatadell’impatto economico del Piano».
«Tutto ciò – avverte – si inserisce in un quadro di incertezza globale, dovuta a tensioni geopolitiche non legate esclusivamente al conflitto russo-ucraino, ma che include anche il deterioramento delle relazioni commerciali tra Usa e Cina. Il Dragone, inoltre, mostra segnali di cedimento dovuti anche alla crisi del settore immobiliare. Ciò avrà impatti negativi sul commercio internazionale e, di conseguenza, sulla domanda estera italiana. La combinazione di questi fattori, verosimilmente avrà un impatto netto negativo in grado di frenare la crescita dell’economia italiana, ma potrebbe anche generare una temporanea recessione».
«Molti previsori – sottolinea Race – non hanno ancora incluso nelle loro stime tale probabile rallentamento. Ma dovranno tenerne conto, e allora si verificherà un graduale ritorno alla realtà che porterà non solo a rivedere la dinamica della crescita del Pil italiano del 2023 ma anche, e soprattutto, del 2024. I fattori elencati, infatti, tenderanno a dispiegare pienamente i loro effetti nella seconda parte del 2023 e ciò porterà, aritmeticamente, a un’eredità bassa – se non negativa – trasmessa all’andamento del Pil nel 2024. Raggiungere – sostiene Race – una crescita superiore all’1,0% quest’anno e il prossimo sarà dunque molto difficile. Le implicazioni saranno rilevanti soprattutto per il debito e il deficit pubblici. Quando il Governo dovrà iniziare a lavorare alla Nadef e poi alla legge di bilancio, dovrà rivedere ampiamente le precedenti stime, con evidenti ricadute sulle politiche fiscali, in un contesto che potrebbe divenire ulteriormente più sfidante se nel 2024 – se non si raggiungerà un accordo in Europa – torneranno in vigore le vecchie regole del Patto di stabilità che limiteranno al 3% la soglia del deficit in rapporto al Pil».
«Sarà decisivo quindi, a questo proposito, il ruolo del Governo e delle opposizioni che, insieme, dovranno sostenere a livello comunitario una revisione del Patto di stabilità che tenga conto del nuovo contesto economico generato da pandemia e conflitto Un contesto che nulla ha a che vedere con quello nel quale era stato concepito il Patto di stabilità. E’ necessario dunque un bagno di realismo sin da ora e da parte di tutti, prima che una doccia fredda e inaspettata faccia saltare i programmi».
Per rimanere sempre aggiornati con le ultime notizie de “Il NordEst Quotidiano” e “Dario d’Italia”, iscrivetevi al canale Telegram per non perdere i lanci e consultate i canali social della Testata.
Telegram
https://twitter.com/nestquotidiano
https://www.linkedin.com/company/ilnordestquotidiano/
https://www.facebook.com/ilnordestquotidian/
© Riproduzione Riservata