Settore avicolo in difficoltà: produzione a -11,2% nel 2022

L'allarme da Antonio Forlini, presidente Unaitalia, nel corso dell'assemblea. Problemi anche per la filiera dei bovini con le norme ambientali europee.

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Settore avicolo

Nel 2022, il fatturato industriale del settore avicolo si è attestato complessivamente a quasi 7,35 miliardi di euro, di cui 5,35 miliardi per le carni da pollame e 2 miliardi per le uova. Sono i primi dati emersi nel corso dell’assemblea di Unaitalia, l’associazione nazionale delle carni bianche.

Il calo dei consumi pro-capite (-4,3% sul 2021), in prevalenza di tacchino, passati da 21,43 a 20,5 kg, non ha intaccato la passione degli italiani per le carni bianche, che continuano ad essere le più amate con il 35% degli acquisti domestici. Anche le uova hanno un indice di penetrazione tra i più alti (94%, dati Ismea), con un consumo pro-capite di 227 uova (+7,4%). E se il balzo prezzi del 2023 costringerà ad un ulteriore alleggerimento dei carrelli, le carni del settore avicolo saranno le uniche a mantenersi in terreno positivo con una produzione quest’anno ancora a -3,3% rispetto all’anno di riferimento 2021 (che si attestava a 1,36 milioni di tonnellate), ma in ripresa rispetto al 2022.

L’assemblea è stata l’occasione per ribadire alcuni passi fatti avanti dall’avicoltura italiana che rimane un modello produttivo virtuoso a livello internazionale: i dati Ema Evsac attestano un -90% di antibiotici dal 2011 al 2020 a fronte di una riduzione del 18% in medicina umana, mentre secondo la Fao il settore avicolo italianoemette circa il 50% in meno di CO2 rispetto alla media mondiale.

Il 62% della produzione avicola in Italia, inoltre, riporta informazioni volontarie aggiuntive in etichettadisponibili al consumatore. Di queste, il 52% riguarda l’uso di luce naturale e il 50% degli arricchimenti ambientali. La densità inferiore ai limiti di legge è indicata dal 30% degli aderenti al Disciplinare, mentre il 6% della produzione usa razze “a lento accrescimento” (dato triplicato tre anni). Il 28% dei prodotti che riportano informazioni aggiuntive in etichetta (uno su tre) risponde infine a standard di “maggiore benessere”, ovvero sono garantite contemporaneamente in allevamento densità ridotte, arricchimenti ambientali e/o disponibilità di luce naturale.

Per le uova da consumo il passaggio a produzioni senza l’utilizzo di gabbie (“cage free”) negli allevamenti delle filiere aderenti ad Unaitalia, inclusi quelli in soccida, supera l’80%. Per Unaitalia si rivela altresì fondamentale la ricerca e una formazione continua e rafforzata, su cui il settore intende continuare a dedicare risorse.

«L’avicoltura italiana si trova di fronte a uno scenario complesso – ha spiegato il presidente di Unatalia, Antonio Forlini -. In conseguenza del calo produttivo dell’11,2%, nel 2022, per la prima volta abbiamo rischiato di perdere la nostra storica autosufficienza a causa degli effetti dell’aviaria, che ha provocato danni al settore per 262 milioni di euro da ottobre 2021 a maggio 2022 e ci siamo trovati a perdere l’8% di tasso di approvvigionamento. A queste difficoltà si sommano ora i danni dell’alluvione che ha colpito l’Emilia Romagna, tra le regioni a più alta vocazione avicola, per più di 15 milioni di euro, il peso dell’inflazione (+7,6% a maggio dati Istat) che frena i consumi e quello dei costi produttivi (+23% nell’ultimo anno). I fatti recenti ci hanno insegnato che le conquiste del nostro settore non possono essere date più per scontate e che la gestione delle emergenze è la nuova normalità. Per questo non ci possiamo più permettere di compiere scelte sbagliate nella definizione delle politiche produttive future, soprattutto a livello europeo».

Settore avicolo
Antonio Forlini, presidente di Unaitalia.

La produzione di carni, sia del settore avicolo che di quello bovino, sta diventando sempre più impegnativa in Europa, complice l’assalto della lobby ecologista che pare non darsi limiti nello stravolgere un settore che hadimostrato di avere un impatto ambientale decisamente nullo che si trasforma in positivo se ci si aggiunge la produzione di energia rinnovabile derivante dall’utilizzo degli scarti di produzione, tanto da far sbottare Forliniche ha detto: «basta ad attacchi ideologici e ad un ambientalismo e animalismo che nasconde interessi economici molto rilevanti».

Al tempo stesso, Forlini ha elogiato «i primi provvedimenti dell’attuale maggioranza, come il segnale politico sulla carne prodotta in laboratorio, la svolta impressa sul tema delle Tecniche di Evoluzione Assistita (Tea) che potrebbe ridurre la dipendenza dalle importazioni di materie prime per mangimi», senza trascurare il disegno di legge sul “meat sounding”. Al governo Meloni, il settore avicolo chiede di «proteggere in Europa un asset strategico del nostro “Made in Italy” con meccanismi di vera reciprocità rispetto alle importazioni extra-Ue, la difesa della sicurezza alimentare per i nostri consumatori, periodi di adeguamento alle nuove regole congrui e ben sostenuti».

Forlini ha anche sottolineato la necessità di «procedere spediti sulla strada delle riforme, con l’attuazione efficace del Pnrr e con alcuni strumenti come i contratti di filiera, l’agrivoltaico e la transizione digitale. Occorre rendere l’Italia un paese più competitivo – ha aggiunto il presidente di Unaitalia – con l’auspicata riduzione del cuneo fiscale e con interventi pro-consumi erosi dall’inflazione, come la riduzione dell’Iva al 4%che garantirebbe a tutti l’accesso a carni bianche e uova, le proteine più democratiche sul carrello della spesa».

Il clima di cappa ideologico-ambientalista, che aleggia in modo particolare su Bruxelles, è stato sottolineato anche dall’eurodeputato Dem, Paolo De Castro, membro della Commissione Agricoltura all’Europarlamento, che ha parlato di una forte “pressione” delle lobby «sull’opinione pubblica, tutti contro la Pac e l’agricoltura», che si sta sostanziando con una raffica di nuovi regolamenti (entro fine anno potrebbero esserne stati presentati 7 o 8), tutti «difficili da digerire». Gli attacchi, ha denunciato De Castro, continuano imperterriti, sebbene l’Italia sia «il paese che ha maggiormente ridotto del 30% l’uso dei principi attivi chimici e dobbiamo raccontarlo, perché secondo la commissione l’Italia dovrebbe ridurre del 62% i principi chimici entro 2030, ma qualcosa non va, anche paragonare il settore zootecnico alle emissioni industriali non regge».

Nel suo intervento, il presidente della Commissione Agricoltura al Senato, Luca De Carlo, ha ricordato che «non è vero che la colpa del cambiamento climatico è dell’agricoltura, la quale, al contrario, ha il merito di immagazzinare la CO2 nel suolo. E’ necessario, dunque, un cambio di approccio, all’insegna della “scienza” ma anche del “buon senso” e il disegno di legge sulle Tea va in questa direzione, tanto è vero che – ha sottolineato De Carlo – anche gli agricoltori spagnoli e francesi ora guardano con speranza a questa possibilità. Nel segno di “ideologie fuorvianti” sono invece leggi come quella che impongono una quota di almeno il 25% di agricoltura biologica entro il 2030, quando il principio dovrebbe essere quello di “difendere la salute dei cittadini da un lato, il sistema agroalimentare dall’altro”».

Come detto, nell’obiettivo delle lobby ambientaliste di Bruxelles non c’è solo il settore avicolo, ma anche quello dei bovini. I principali operatori della filiera bovina da carne in Italia scendono in campo per la terza volta rivolgendosi agli europarlamentari affinché scongiurino nella prossima Assemblea plenaria, l’inserimento dei bovini da carne nelle maglie burocratiche della direttiva 2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, relativa alle emissioni industriali.

Alessandro De Rocco, presidente dell’Interprofessione “Oi Intercarneitalia”, Serafino Cremonini, presidente del Comitato Nazionale della Trasformazione e presidente Assocarni, Fabiano Barbisan, presidente dell’Aop Italia Zootecnica, scrivono un nuovo appello, il terzo, ponendo in apertura del documento, una serie di domande:

– Chi ha interesse a distruggere la zootecnia bovina da carne?
– Perché vogliono includerla a tutti i costi tra le industrie inquinanti?

– Perché sommergere gli allevatori di inutile e costosa burocrazia costringendoli ad abbandonare le loro attività zootecniche?

«Questi sono solo alcuni interrogativi che ci poniamo – hanno detto De Rocco, Cremonini e Barbisan – nell’assistere al rimpallo in Europa tra Commissioni che, prima bocciano in Commissione agricoltura l’inserimento della zootecnia bovina da carne nella Direttiva 2010/75/UE e poi in Commissione Ambiente tentano il tutto per tutto per inserirla, nonostante il voto negativo dell’altra Commissione».

«Non riusciamo a comprendere la scelta del Parlamento verso un settore che da anni sta spontaneamente e costantemente migliorando le proprie performance ambientali con particolare riferimento alle emissioni in atmosfera e alla corretta gestione dei reflui aziendali. Il settore sta altresì costantemente migliorando le proprie strutture per garantire il benessere degli animali in tutte le fasi dell’allevamento».

L’inclusione degli allevamenti bovini nella direttiva «comporterebbe un ingiustificato aggravio di costi a carico degli allevatori che rischierebbe di far scomparire un elevato numero di stalle con gravi impatti negativi sull’intero ecosistema agricolo – si ribadisce nell’appello rivolto agli europarlamentari -. Le caratteristiche ruralidella produzione bovina consentono la salvaguardia e tutela del territorio, prevenendo il dissesto idrogeologicoe l’abbandono delle aree marginali grazie alla presenza costante dell’allevatore / agricoltore».

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