John Axelrod dirige al Malibran di Venezia l’orchestra del Teatro La Fenice

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teatro la fenice Axelrod 2 C Priska Ketterrer 21 1In programma musiche di Montalti, Bartók, Mahler e Sibelius

Venerdì 7 febbraio 2014 alle ore 20.00 (turno S), con replica sabato 8 alle 17.00 (turno U), il Teatro Malibran di Venezia ospiterà il sesto concerto della Stagione sinfonica 2013-2014, con l’Orchestra del Teatro La Fenice diretta dal maestro statunitense John Axelrod.

Il programma, interamente novecentesco a parte il primo brano, si aprirà con la prima esecuzione assoluta di Unnamed Machineries di Vittorio Montalti (nato nel 1984), nuova commissione della Fondazione Teatro La Fenice nell’ambito del progetto “Nuova musica alla Fenice”, dedicato nella sua terza edizione a Giovanni Morelli. Seguirà, nella prima parte, il Divertimento per archi di Béla Bartók (1939), ultimo lavoro europeo del compositore prima dell’esilio negli Stati Uniti. La seconda parte del programma sarà invece dedicata all’Adagio dall’incompiuta Decima sinfonia di Gustav Mahler, del 1910, e alla Sinfonia n. 7 in do maggiore op. 105 di Jean Sibelius (1924), ultima delle sette sinfonie del compositore finlandese.
Alla fine del concerto del 7 febbraio, trasmesso in differita su Radio3, il sovrintendente della Fondazione Teatro La Fenice Cristiano Chiarot, il direttore artistico Fortunato Ortombina e la socia della Fondazione Amici della Fenice Marisa Borini Bruni Tedeschi – che con il suo generoso contributo ha reso possibile la nuova commissione – saliranno sul palco per ricordare gli obiettivi di “Nuova musica alla Fenice” e consegnare un riconoscimento a Vittorio Montalti.
Nato a Roma nel 1984, diplomato in pianoforte, Vittorio Montalti ha studiato composizione con Alessandro Solbiati e Ivan Fedele e musica elettronica all’IRCAM di Parigi. Leone d’Argento per la creatività alla Biennale Musica 2010, ha ricevuto commissioni da Biennale, Divertimento Ensemble, Bergamo Musica, Ex Novo Ensemble, Festival Pontino, Fondazione San Fedele e RomaTreOrchestra e la sua musica è stata eseguita a Parigi, Lubiana, Strasburgo, Berlino, Sidney e Melbourne. Reduce dalla presentazione alla Biennale, lo scorso ottobre, dell’opera da camera L’arte e la maniera di affrontare il proprio capo per chiedergli un aumento, da Perec, in Unnamed Machineries Montalti propone una successione apparentemente illogica e onirica di figure musicali di cui intravediamo un possibile senso solo ad un livello più alto, quello del meccanismo che ne gestisce il susseguirsi: sorta di metafora kafkiana della società in cui l’individuo è sovrastato da una fredda macchina, enorme e invisibile, che si muove inesorabilmente e lentamente lo schiaccia.
Il Divertimento per archi fu commissionato a Bartók da Paul Sacher per l’Orchestra da camera di Basilea, che lo eseguì in prima assoluta l’11 giugno 1940. Bartók l’aveva composto rapidamente nell’agosto 1939 in un momento di grande felicità creativa, in una località di villeggiatura svizzera dove Sacher l’aveva amichevolmente sistemato perché potesse lavorare in pace. Nel descriverne l’idea, il compositore aveva annunciato a Sacher un lavoro per orchestra d’archi con carattere di suite e alternanze di soli-tutti affini a quelle del concerto grosso barocco. A partitura conclusa decise di chiamarla Divertimento, per i ritmi di danza e la serenità che prevale nel primo e nel terzo tempo (in netto contrasto con lo scavo angoscioso del movimento centrale). Insieme con il Sesto quartetto, il Divertimento è l’ultimo pezzo che Bartók compose in Europa, prima di scegliere la via dell’esilio. E, come nel Sesto quartetto, si profilano già i caratteri stilistici dell’ultimo periodo, una volontà di trasfigurata semplificazione del linguaggio.
Nell’estate del 1910, durante le consuete vacanze a Dobbiaco, Mahler iniziò la composizione della sua decima e ultima sinfonia, che concepì in cinque movimenti: un Adagio iniziale, un primo Scherzo, un Intermezzo, un secondo Scherzo e un Finale. Una serie di impegni e circostanze familiari gli impedirono però di concludere la composizione prima dell’autunno, quando ricominciò a pieno ritmo l’attività di direttore d’orchestra. Mahler morì di setticemia all’inizio del 1911, lasciando solo il primo movimento compiutamente orchestrato, e gli altri quattro allo stato di abbozzo. Una sorta di libero recitativo delle viole seguito da due blocchi tematici, uno lirico e uno ironico, costituisce il materiale generatore dell’intero Adagio, una meditazione malinconica e notturna interrotta poco prima della fine da un pauroso accordo dissonante che si scioglie in una lunga catartica coda.
Frutto di una lunga gestazione, l’ultima sinfonia di Jean Sibelius, la Settima op. 105, fu diretta dall’autore a Stoccolma il 24 marzo 1924 col titolo «Fantasia sinfonica», corretto l’anno successivo, in occasione della pubblicazione, in «Sinfonia n. 7 (in un movimento)». Il compositore finlandese, allora cinquantanovenne, avrebbe scritto ancora pochi brani fino al 1929, per entrare poi in un quasi completo silenzio creativo fino alla morte, avvenuta nel 1957. Culmine della produzione sinfonica di Sibelius, per tutta la vita impegnato nel tentativo di rinnovare dall’interno il genere sinfonico, la Settima presenta un uso particolare del colore orchestrale, che ne ha fatto una sorta di composizione-culto per gli spettralisti degli anni ottanta. Anche il principio dello sviluppo tematico, basato su situazioni di accumulo di particolare valore metaforico (il graduale manifestarsi dell’essenza della natura), trova in questa partitura la sua più completa affermazione. Quanto all’aspetto formale, se è vero che si può distinguere in una parte il carattere di uno Scherzo, in un’altra quello di un movimento lento, è anche vero che la recente critica ha ritenuto arbitrario tentare di separare i vari movimenti, essendo precisa intenzione di Sibelius quella di creare un’opera assolutamente coesa e monumentale, soprannominata da Serge Koussevitzky «Parsifal finlandese».