Fondi di coesione: l’Italia più lontana dall’Ue

Solo 4 regioni tra i primi 50 del Pil, nel 2000 erano 10. Ora rimangono solo Alto Adige, Trentino Lombardia e Valle d’Aosta. Cresce il divario del Sud nonostante i fondi disponibili.

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Nel corso degli ultimi cicli di programmazione dei fondi di coesione europei, Polonia, Spagna, Italia e Romaniasono gli Stati membri maggiormente coinvolti nelle politiche comunitarie, tuttavia, mentre per la Spagna, la Polonia e la Romania (che sono tra i principali beneficiari delle politiche di coesione) è cambiata la percentualedi popolazione interessata, l’Italia ha mantenuto sostanzialmente stabile il suo coinvolgimento in termini di popolazione (oltre 19 milioni di abitanti) e ha ampliato il numero di regioni coinvolte.

Secondo il rapporto dell’Istat “La politica di coesione e il Mezzogiorno. Vent’anni di mancata convergenza”, «la politica di coesione rappresenta la principale politica di investimento dell’Unione europea e si pone l’obiettivo di ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle regioni».

Per gli ultimi tre cicli di programmazione dei fondi di coesione (2000-2006, 2007-2013 e 2014-2020) è possibile avere un quadro statistico pressoché completo e osservare, attraverso l’andamento del Pil pro capite a parità di potere di acquisto (ppa), se vi sono stati processi di convergenza fra le regioni e i territori degli Stati membri.

Tra il 2000 e il 2021, osserva l’Istat, si è realizzato solo parzialmente un processo di avvicinamento, che ha interessato in particolare le regioni che partivano da livelli più bassi di reddito, quasi tutte appartenenti agli Stati membri dell’Europa orientale. La mancata convergenza ha penalizzato le economie regionali, oltre a quella della Grecia, anche della Francia, della Spagna e, soprattutto, dell’Italia.

Non si è verificato il processo di convergenza delle regioni italiane classificate come “meno sviluppate” (pressoché quasi tutto il Mezzogiorno d’Italia ad eccezione dell’Abruzzo), che hanno continuato a crescere sempre molto meno della media dei Paesi dell’Ue27. Ma è l’intero sistema Paese Italia che si è contraddistinto per un processo di progressivo allontanamento dal dato medio europeo. Nel 2000, continua il rapporto Istat, erano ben 10 le regioni italiane fra le prime 50 per Pil pro capite in ppa e nessuna fra le ultime 50. Nel 2021 fra le prime 50 ne sono rimaste solo quattro (Alto Adige, Lombardia, Trentino e Valle d’Aosta), mentre fra le ultime 50 ora se ne trovano ben quattro (Puglia, Campania, Sicilia e Calabria).

«Qualcosa – osserva l’Istat – sembra essere parzialmente mutato» e tra i territori italiani che crescono ad un ritmo superiore alla media europea, c’è il caso della Lombardia (+1,9% annuo), ma anche quello della Puglia (+1,8%) e della Basilicata (+2,5%).

Il divario crescente in termini di reddito (misurato in Pil pro capite in ppa) fra le regioni italiane economicamente meno avanzate e l’Ue27, è spiegato interamente dal tasso di occupazione, inferiore alla media Ue di ben 20 punti percentuali, sottolinea l’Istat. Soltanto nel corso dell’ultimo ciclo di programmazione 2014-2020 dei fondi di coesione è divenuta determinante anche la produttività del lavoro inferiore alla media Ue27 di 9 punti percentuali. Le recenti tendenze demografiche in atto in Italia, in particolare nel Mezzogiorno, fanno presupporre che invecchiamento e spopolamento possano in futuro contribuire ad ampliare i divari in termini di reddito con il resto d’Europa.

Le simulazioni effettuate dall’Istat mostrano, in assenza di interventi sull’occupazione e sulla produttività, che la forbice con l’Ue, nel 2030, è destinata ad allargarsi pressoché ovunque in Italia e in particolare nelle regioni del Mezzogiorno. E questo costituisce una forte ipoteca sulle possibilità di ripresa dell’economia nazionale da parte del governo Meloni.

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