Ancora diatribe sulle nomine dei vertici Rai, – Radiotelevisione italiana –, una società per azioni partecipata al 99,56% dal ministero dell’Economia e delle Finanze ed allo 0,44% dalla Società italiana degli autori ed editori (SIAE). Il testo unico dei servizi media audiovisivi e radiofonici le assegna la concessione generale del servizio pubblico radiotelevisivo.
L’attuale legge del 2015, che ne disciplina le modalità di nomina dei vertici Rai, lascia queste ultime nella totale disponibilità delle maggioranze governative di turno, contravvenendo sia a quanto stabilito, sul punto, dalla Corte costituzionale già nel 1974 – con la sentenza n. 225 – sull’esigenza di garantire obiettività, completezza ed imparzialità del servizio pubblico, anche attraverso l’indipendenza degli organi direttivi dell’azienda dal Governo e dai partiti, sia ai dettami dell’UE sui servizi pubblici d’interesse generale, quale in primis quello ad una veritiera ed imparziale informazione.
Quanto premesso appare purtroppo confermato dalle vicende che stanno riguardando l’azienda nelle ultime settimane e negli ultimi giorni: in particolare, l’artato allontanamento degli storici conduttori Fazio e Littizzetto non può parere altro che una mossa strategica dell’attuale Governo per avvicinare a sé ed alla propria linea di pensiero quelle reti dell’azienda con maggiore indice di share in assoluto su scala nazionale. Ciò può comportare seri rischi di compromissione del diritto fondamentale ad una libera informazione, garantito sia dalla nostra Costituzione (art. 21) come corollario delle libertà di manifestazione del pensiero e di stampa, sia dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE che, all’art. I-11, riconosce la libertà di espressione e d’informazione. Finanche nei paesi di common law – cioè “a diritto non scritto” – siffatte libertà vengono efficacemente rispettate e garantite in base al diritto consuetudinario.
E’ a questo punto necessario ed improcrastinabile un cambio di rotta “copernicano” sul piano legislativo: urgono soluzioni al livello della fonte primaria che stravolgano le modalità di composizione degli organi dell’azienda; potrebbe ad esempio essere auspicabile un sistema di nomine dei vertici Rai in commissione parlamentare composta da membri espressione dell’opposizione alla maggioranza in carica almeno nella misura del 50%.
Oltre a ciò, a parere di chi scrive, le modalità di nomina vanno sensibilmente semplificate, poiché libertà e trasparenza dell’informazione significa anche agevole conoscibilità delle norme che governano la “macchina” atta a costruire e divulgare le informazioni. Difatti, fra il mezzo di comunicazione e il pubblico si crea nei fatti una sorta di “affezione”, che la si chiami linea editoriale oppure identità: il pubblico sceglie il mezzo a prescindere dai suoi contenuti, che peraltro conoscerà solo dopo averli fruiti.
In definitiva, e alla luce di quanto esposto sopra, bisogna ammettere che se la platea dei consociati è caratterizzata dal pluralismo politico, anche il servizio pubblico d’informazione radiotelevisiva deve “sfidare se stesso” e tendere sempre più al pluralismo, perché solo manifestando differenti punti di visuale si può costruire, pian piano, una coscienza critica in ogni cittadino, vera, libera e indipendente, ma soprattutto scevra da ogni forma d’imposizione ideologica che ogni ala partitica pur vorrebbe, quasi “per sua natura”, imporre; ma ciò è raggiungibile solo mediante un impianto legislativo che cambi drasticamente rotta rispetto al passato, abbracciando finalmente i dettami e gli insegnamenti della nostra Carta fondamentale e delle fondamentali Carte europee.
A voi, a noi l’ardua sfida!
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