Alle elezioni regionali d’autunno la sfida per il vertice tra le fila della maggioranza di centro destra è aperta, con la Lega Salvini che tenta l’arrocco e Fratelli d’Italia che punta a fare valere i rapporti di forza elettorale profondamente mutati, dove i meloniani valgono stabilmente tre volte tanto almeno i leghisti nei loro storici feudi, complice il fallimento della linea politica interpretata da Matteo Salvini che ha abiurato alla difesa degli interessi del Nord per una deriva nazionale che non gli ha arriso il successo atteso, tutt’altro.
«Noi non imponiamo niente a nessuno, ma sicuramente la tradizione di buon governo della Lega in Veneto è sotto gli occhi di tutti e quindi, tendenzialmente: squadra che vince non si cambia» dice Matteo Salvini che, dal palco della scuola politica della Lega, è tornato a rivendicare con garbata fermezza il diritto di giocare un ruolo da regista nella complicata partita ormai assodata dalla sentenza della Corte costituzionale del dopo Luca Zaia.
Un leghista per un leghista, l’equazione salviniana, per le elezioni regionali sarebbe dunque la scelta naturale e vincente, scandiscono dalle parti del Carroccio, visto il radicamento del partito nella regione sempre più traballante, con numerosi esponenti che stanno passando chi tra i meloniani e altri tra i forzisti guidati da un altro ex leghista come l’attuale eurodeputato ed ex sindaco di Verona, Flavio Tosi.
Una semplificazione politica priva di basi scientifiche, replicano da Fratelli d’Italia, che con Luca De Carlo, segretario regionale e papabile governatore meloniano assieme al senatore veneziano Raffaele Speranzon, avverte che dall’alto del 37% ottenuto alle ultime Europee non ci sono «rendite di posizione di 5 o 10 anni fa» che tengano.
Tutti tengono il punto, ma nessuno si intesta lo strappo. Salvini predica pazienza confidando nell’unità della coalizione: «troveremo sicuramente l’accordo», assicura pur rinnovando l’invito ad elettori e alleati di guardare in casa Lega dove di «amministratori leghisti in grado di proseguire lo straordinario cammino di Zaia, ce ne sono tanti».
Predica unità per le elezioni regionali anche De Carlo («nessun veneto capirebbe un centrodestra non unito»”) chiedendo, però, ai leghisti di essere «leali come lo siamo stati noi». Insomma, un invito a giocare tutti con le stesse carte: «la coalizione è straordinariamente più importante rispetto alle ambizioni personali di ciascuno di noi», ricorda le regole di base.
«Si apre una fase nuova – continua De Carlo – e nessuno vuole abiurare quello che è stato fatto finora. La Lega ha diritto a rivendicare la presidenza, come ce l’hanno FdI e FI», dice allargando anche agli azzurri il diritto di sedersi al tavolo per Palazzo Balbi.
Un futuro del Veneto che non si lega, avverte ancora De Carlo, con i destini – comunque molto lontani nel tempo visto che si voterà a febbraio 2028 – della Lombardia come vorrebbe invece fare la Lega Salvini, forse pensando ad un futuro sgambetto, visto che anche a Milano l’attuale presidente Attilio Fontana non può più candidarsi: «cedere il Veneto per la Lombardia? Fratelli d’Italia è il partito di maggioranza relativa nelle due regioni, alle strategie preferisco la voce dei cittadini», ma stemperando la tensione tra alleati afferma «credo sia necessario concentrarsi non sul “chi” governerà, ma sul “come”’, e quindi su un programma condiviso dalla coalizione unita di centrodestra, che sicuramente governerà ancora il Veneto».
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