Punti nascita periferici del Trentino: ridotto numero di parti con tanti cesarei

Parolari: «la percentuale di parti cesarei è superiore alla media degli ospedali principali».

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punti nascita salute dei bambini

In Trentino è sempre più necessario affrontare con serenità e senza preconcetti di campanile la questione dei servizi sanitari diffusi negli ospedali di valle ed in particolare il tema dei punti nascita e del numero di parti che avvengono in queste strutture, da anni sempre sotto il limite minimo di 500 casi/anno, in Trentino già ribassato rispetto alle soglie nazionali, la quota minima per assicurare al personale medico la necessaria casistica su cui intervenire.

«La lenta agonia dell’attività nei punti nascita periferici trova conferma negli ultimi dati resi pubblici dall’APSS. Il vistoso calo delle nascite a Cles nel 2024 a 282 (- 21,55% pari a 50 parti in meno rispetto ai 232 parti del 2023) e i 170 parti a Cavalese, in crescita ma comunque troppo pochi, confermano che sono le stesse donne trentine ad aver compreso che quei punti nascita non garantiscono più la sicurezza della mamma e del bambino e decidono di partorire altrove» commenta il consigliere provinciale del Pd Trentino, Francesca Parolari, secondo cui «la deriva, pericolosa per la salute dei cittadini, del decisionismo politico populista e demagogico dell’attuale governo provinciale non è tanto il numero dei parti troppo basso per continuare, ostinatamente e contro ogni evidenza scientifica, a tenere aperte strutture sanitarie pubbliche. A preoccupare, infatti, deve essere l’alta percentuale di parti cesarei che vengono effettuati sia a Cles che a Cavalese».

Parolari mette a confronto la casistica dei parti tra gli ospedali periferici e quelli centrali: «il fatto che a Trento e a Rovereto, dove si concentrano le gravidanze con fattori di rischio, la percentuale di cesarei sia inferiore (19,7 a Trento, 17,45 a Rovereto) rispetto a quella di Cles (20,32) e Cavalese (19,4) sta a significare che in questi due punti nascita periferici non si rispettano le indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità che individua nel taglio cesareo una procedura chirurgica non priva di rischi da effettuarsi solo quando si dimostra essere indispensabile».

Secondo l’OMS, infatti, «il taglio cesareo comporta dei rischi a breve e lungo termine, con ripercussioni anche a distanza di molti anni dal parto e può compromettere la salute della donna, del bambino e le gravidanze future… Il taglio cesareo è efficace nel ridurre la mortalità materno-infantile solo se eseguito in base ad una specifica indicazione medica… Il taglio cesareo può causare complicanze significative e talvolta permanenti, disabilità o morte particolarmente in quei contesti in cui mancano le strutture ospedaliere e/o le capacità per condurre un intervento in sicurezza e per fare fronte ad eventuali complicazioni chirurgiche. Pertanto i tagli cesarei andrebbero effettuati solo se clinicamente necessari».

Secondo Parolari, «le statistiche certificano che le morti neonatali dopo il taglio cesareo sono 1,67 per 1000, dopo parto spontaneo 0,67 per 1000. Ben tre volte di più! La morte materna correlata al cesareo è tripla rispetto al parto naturale. Con il cesareo sono più frequenti emorragie (prima causa di morte), infezioni, tromboembolie, complicanze anestesiologiche. Un taglio cesareo e ancor più tagli cesarei multipli predispongono a patologie nelle successive gravidanze (placente previe, placente accrete, emorragie) e comportano maggiori difficoltà chirurgiche nell’esecuzione di interventi chirurgici che si rendessero necessari nella vita di una donna». Senza considerare il fatto che generalmente il costo di un parto cesareo è superiore a quello di uno naturale.

Uno scenario che, secondo l’esponente del Pd, evidenzia una difficoltà da parte della struttura sanitaria: «se le donne delle valli gravide ad alto rischio vengono tutte dirottate a partorire a Trento o a Rovereto e, ciononostante, assistiamo a queste elevate percentuali di accesso al cesareo negli ospedali periferici, significa che chi dovrebbe seguire le partorienti, sia egli un gettonista oppure un medico con casistica di sala parto troppo esigua per essere definito esperto, esercita la medicina difensiva e non si assume le responsabilità che dovrebbe! Sottopone la donna ad una operazione chirurgica piuttosto che farla partorire naturalmente, riduce il rischio solo per lui, ma come abbiamo visto può danneggiare la mamma e il bambino, e massimizza la propria rendita! Comportamento inaccettabile sotto ogni profilo, che l’Assessorato alla salute e l’APSS dovrebbero stigmatizzare e sanzionare perché mette a repentaglio la salute pubblica».

Il problema torna prepotentemente nelle mani della politica, nelle mani dell’assessore alla sanità Mario Tonina, che sul mantenimento di tutti i servizi presso gli ospedali periferici ha fatto una questione di bandiera, salvo dovere guardare in faccia una realtà dove manca la sufficiente casistica, dove tante donne delle valli spontaneamente preferiscono partorire nei due centri maggiori anche i carenza di situazioni a rischio, oltre alla questione irrisolta della mancanza di personale strutturato adeguato, con il risultato che le partorienti spesso hanno difficoltà a farsi seguire durante tutta la gravidanza da personale conosciuto e di fiducia.

Per Parolari «amministratori e vertici sanitari invece si rimpallano le responsabilità su chi debba sancire la garanzia della sicurezza nei punti nascita periferici, arrivando ancora una volta a confidare nella provvidenza. La stessa provvidenza che sotto Natale, per entrambe le Tac dell’ospedale di Trento guaste, ha mostrato di non essere più disponibile a coprire tutto e tutti. Alla sanità trentina non si può davvero più chiedere di continuare a lavorare in queste condizioni e alle donne trentine garantita la possibilità di partorire in modo sicuro e senza rischi di ripercussioni future».

 

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