Confartigianato Imprese Veneto in un recente studio ha approfondito il tema della frattura tra il mondo universitario e quello lavorativo e il fatto che l’Italia si posizioni agli ultimi posti della classifica europea per istruzione terziaria ne è una conferma.
Secondo l’analisi dell’Ufficio Studi di Confartigianato Imprese Veneto, su dati Eurostat, il l’Italia nel 2023 si è posizionata al terzultimo posto in Europa per giovani tra i 25 e i 34 anni per istruzione terziaria, raggiungendo solo il 30,6% di laureati contro una media europea del 43,1%, davanti solo all’Ungheria (29,4%) e alla Romania (22,5%).
Il Veneto, nonostante una capillare presenza di sedi universitarie, anche prestigiose, ha un andamento altalenante di presenze e si posiziona al sesto posto della classifica italiana con un 32,9% (era comunque fermo al 31,6% nel 2019), dietro al Lazio (38,4%), alla Lombardia (35,2), alle Marche (34,8%), all’Umbria (34,4%) e al Trentino (34,1%).
I dati degli iscritti all’università nell’anno successivo al diploma a livello locale in Veneto fanno osservare come nelle province la quota di neodiplomati che si è iscritta all’università supera il 50% solo a Padova (56,5%), a Rovigo (51,2%) e Venezia (50,5%). Rimangono di poco al di sotto Verona (49,4%) e Treviso (49,1). Agli ultimi posti Vicenza (48,2%) e Belluno (44,9%).
«Con l’aumento dei livelli di istruzione – spiega il presidente di Confartigianato Imprese Veneto, Roberto Boschetto – l’ingresso nel mondo del lavoro avviene sempre più tardi e con specializzazioni spesso inadeguate. Inoltre i percorsi brevi di istruzione terziaria sembrano non avere grande successo, essendo conclusi solo dall’11,8% dei giovani tra i 25 e i 34 anni. Il sistema italiano non incentiva la partecipazione degli studenti al mercato del lavoro. L’Italia è tra i grandi paesi europei quello con la più bassa percentuale di studenti impegnati in qualche forma di occupazione: solo il 3%. La Germania arriva quasi al 24% e le conseguenze poi nel mercato del lavoro si vedono».
Alla luce della difficoltà delle aziende di trovare forza lavoro, della dispersione scolastica, della glaciazione demografica, per Boschetto «è giunto il momento di investire sui giovani, sulla loro istruzione e sul loro futuro, adattando e riammodernando il nostro sistema. Il rischio di avere pochi giovani con titoli di formazione terziaria professionalizzate è quello di lavorare gratis per i Re di Prussia, ovvero di regalare laureati iper specializzati la cui formazione molto costosa – circa 300.000 euro – è tutta a nostro carico, mentre i paesi nostri concorrenti ne beneficiano senza sopportare alcun costo e neanche ringraziano».
Per questo la Federazione regionale di Confartigianato propone un ampliamento degli ingressi nei percorsi formativi post-diploma, una diversificazione della lunghezza dei cicli universitari ed una loro più efficiente organizzazione e riconoscibilità, l’incentivazione del lavoro durante gli studi attraverso un potenziamento dell’apprendistato, il rendere efficaci le politiche di orientamento e quelle di accompagnamento nei percorsi terziari per prevenire l’abbandono, l’individuazione di nuove borse di studio, l’introduzione di politiche serie e generose di prestiti d’onore.
Secondo Confartigianato Veneto, l’università italiana tende a offrire un prodotto formativo tendenzialmente simile in tutte le sedi universitarie, al contrario di quanto accade nel resto del mondo dove esiste una esplicita gerarchizzazione del prodotto universitario. Il fallimento delle lauree triennali che avrebbero dovuto essere professionalizzanti, accompagnato da numeri troppo timidi nella programmazione degli ITS anche adesso dopo la riforma Bianchi, con in più gli errori nella politica dei numeri chiusi, sono all’origine di uno sbilanciamento dell’istruzione terziaria, che a sua volta è responsabile di una dispersione scolastica nettamente superiore alla media europea e dell’assenza di professionalità intermedie indispensabili al mercato del lavoro veneto ed italiano.
In Italia i laureati STEM sono solo il 18,5% ogni 1.000 giovani in età tra i 20 e i 29 anni, contro una media europea di 23 ogni 1.000, perché il 40% degli studenti STEM scelgono di iscriversi nel 40% dei casi in corsi magistrali fuori regione (soprattutto Lombardia ed Emilia Romagna). Le ragioni di questa situazione si possono individuare nella tradizione storica in ambito letterario, giuridico e sociale degli atenei veneti.
Ne consegue che, ad esempio, nel 2023 le imprese venete abbiano previsto il 31,8% di assunzioni di under 29, la seconda quota più elevata di giovani richiesti in Italia, ma non di laureati, troppo poco professionalizzati, la cui domanda rappresenta solo l’8,7% delle entrate under 29 anni.
«Questo non permette al nostro settore produttivo di accedere a bacini occupazionali qualificati dal punto di vista tecnologico, paragonabili a quelli tedeschi, nei settori industriali chiave che aiutino le imprese a compiere un salto dal punto di vista della produttività, dell’innovazione e dell’internazionalizzazione – conclude Boschetto -. I tempi sono maturi per rilanciare la proposta di un Politecnico del Veneto che metta al centro le specializzazioni STEM. Noi siamo pronti per sederci al tavolo, ma questa volta dobbiamo mettere in pratica e non solo teorizzare o sarà una lenta agonia perché siamo arrivati a quel punto in cui, se non facciamo nulla, dovremo rischiare di compromettere il nostro stato sociale, e il nostro sistema economico».
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