Terzo mandato o rinvio delle elezioni per far accompagnare a Zaia le Olimpiadi invernali

Scenario respinto al mittente dal Pd, ma anche da Fratelli d’Italia si frena.

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Terzo mandato pedemontana veneta
Matteo Salvini e Luca Zaia in Veneto tentano l'arrocco.

Una delle due gambe che fino a pochi anni reggeva la gloriosa Lega Nord, forza politica con un programma politico e una strategia chiara, quella del Veneto, zoppica sempre di più sotto le bordate incassate dalla sentenza della Corte costituzionale che ha sostanzialmente depotenziato la legge Calderoli che doveva fungere da base per le istanze autonomistiche suggellate dal referendum del 2017, cui s’aggiunge lo scenario di dovere mollare la guida della regione la prossima primavera, visto che il presidente uscente, Luca Zaia, non sarà più ricandidabile, essendo falliti i tentativi di aprire al terzo mandato consecutivo, che per il Doge sarebbe il quarto, visto che all’approvazione della legge sul doppio mandato dei presidenti di regione lui stava per concludere il primo giro di giostra e solo con un’interpretazione estensiva favorevole, si decise che il doppio mandato sarebbe scattato all’indomani dell’entrata in vigore della legge, non prima.

Dalle parti della Lega Salvini non ci si rassegna a perdere la poltronissima della Serenissima e tutto fa brodo, pure uno scenario di rinvio di un anno delle elezioni per consentire a Zaia di traguardare lo svolgimento delle Olimpiadi invernali 2026, facendo spallucce della realtà che parla di una Lega Salvini ormai priva di contatto con il territorio e, soprattutto, con le aspirazioni dei suoi cittadini, tanto che il partito di Salvini in terra veneta è abbondantemente sorpassato da Fratelli d’Italia in un rapporto 3-a-1, con pure Forza Italia a trazione di un altro ex leghista come Flavio Tosi ha quasi completato il sorpasso.

E nel marasma in cui Matteo Salvini ha fatto precipitare il partito uscito malconcio pure dal doppio appuntamento elettorale in Emilia Romagna e in Umbria dopo quello delle Europee (dove se non ci fosse stato quella macchina acchiappavoti del generale Vannacci il risultato sarebbe stato da dimissioni immediate dalla segreteria), arriva pure la punta di veleno del Partito democratico che, secondo il segretario regionale Andrea Martella, dice che «l’Autonomia del Veneto è al palo per gli egoismi di partito e le ambizioni personali di Luca Zaia. Il centrodestra non sta lavorando per i Veneti, ma si perde in litigi e spartizioni di potere, ignorando le vere necessità della regione, dalla competitività economica al lavoro, dalla salute all’ambiente. Viene il sospetto che la Lega sia disposta a sacrificare l’Autonomia per cercare di garantire a Zaia un quarto mandato. Che poi il centrodestra arrivi a ipotizzare apertamente un rinvio delle elezioni per permettere a Zaia di tagliare il nastro delle Olimpiadi invernali fa onestamente impressione, sembra sindrome da abbandono».

Ma poi, a ben vedere, pure Luca Zaia dà evidenti segni di logoramento, di mancanza di disegno strategico, preferendo andare a rimorchio piuttosto che propulsore del progetto autonomistico. Se a Zaia fosse stata davvero a cuore l’Autonomia per il Veneto, avrebbe dovuto puntare i piedi e opporsi alla legge Calderoli che è finita come pareva logico fin dall’inizio finisse nelle sabbie mobili della politica, e pretendere di seguire il percorso già stabilito dalla stessa Costituzione nella riforma voluta dal centro sinistra, ma mai applicata. Doveva tornare alle intese firmate assieme a Lombardia ed Emilia Romagna con l’allora governo Gentiloni – di centro sinistra – finite sul binario morto causa fine legislatura e da lì ripartire. Non lo ha fatto e ora ne paga il conto, sperando che non lo scarichi ancora una volta sulla pelle (e tasche) dei Veneti.

 

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