Sul caso della soppressione dell’orsa trentina F36 il Consiglio di Stato fissa un principio forte e chiaro nei confronti della politica, locale, nazionale ed europea in tema della gestione degli orsi, in questi mesi molto impegnata nello sforzo di ridurre lo status di produzione assoluta di carnivori come lupi ed orsi, colpevoli di allarmare i residenti delle zone frequentate da questa fauna protetta vellicandone la pancia, ma abiurando al loro ruolo di attuare politiche di reale convivenza tra diverse specie di mammiferi, uomini, orsi o lupi che siano.
Le associazioni protezionistiche LNDC Animal Protection, LAV Lega Anti Vivisezione, WWF Associazione Italiana per il World Wide Fund For Nature E.T.S, rappresentati dagli avvocati Michele Pezone e Paolo Emilio Letrari del Foro di Rovereto, sono riuscite a scardinare il deleterio comportamento della politica, quella che nel caso di specie governa il Trentino guidato dal leghista Maurizio Fugatti, che preferisce imbracciare ad alzo zero l’arma della paura e dell’allarmismo tra la popolazione, finendo di fatto con il subornare comportamenti come quello di cui è stata protagonista l’orsa F36, finita sul libro nero di Fugatti che fortissimamente voleva la sua soppressione e che, nelle more delle sospensioni tra ricorsi e controricorsi, qualche volonteroso bracconiere ha esaudito.
In una lunga e dettagliata sentenza, il Consiglio di Stato richiama la politica ai suoi doveri, nella gestione degli orsi al rispetto delle norme vigenti e dei relativi protocolli d’azione, senza improvvisare ad uzzulo. Per i supremi magistrati amministrativi, «la fondatezza della censura di difetto di proporzionalità» travalica nel «profilo sintomatico dello sviamento di potere», dove il Fugatti «ha utilizzato, quale motivazione della rimozione, lo stato di preoccupazione generale della collettività per possibili rischi connessi ad aggressioni da orso nei confronti delle persone, come avvalorata dall’attenzione posta dai mass media e dagli atti pubblici e normativi assunti dalle istituzioni della Provincia».
Secondo i giudici, Fugatti e il suo sodale di partito e assessore al turismo, foreste, caccia e pesca del Trentino, Roberto Failoni, nel prendere le decisioni che contano, più che alle leggi e ai regolamenti si sono guardati i sondaggi e ascoltate le chiacchiere da bar e dei mercati.
Il Consiglio di Stato pone il carico da 99 sulle velleità di piena autonomia di gestione della fauna protetta: «si tratta di motivazione non solo ultronea, ma anche debordante dalle finalità per le quali la normativa (nazionale e sovranazionale) ha affidato alle Autorità provinciali preposte il potere di disporre l’abbattimento degli animali protetti».
«L’Autorità provinciale, infatti, deve contemperare la salvaguardia di specie a rischio di estinzione con l’interesse della sicurezza pubblica – afferma il Consiglio di Stato -, che deve essere valutato sulla base di elementi oggettivi e non può essere misurato sulla base del sentimento di “preoccupazione” della popolazione, come evidenziato dai mass media o dal gradiente di apprezzamento delle politiche pubbliche finalizzate alla risoluzione della problematica concernente la convivenza uomo/orso». Oltre che, per analogia, nei confronti dei lupi sui quali si addensano sempre più le lamentele degli allevatori a causa delle predazioni in crescita, prontamente indennizzate dagli enti locali, verso le quali è comunque possibile proteggersi con semplici accorgimenti.
E se l’ennesima condanna in un giudizio della Provincia di Trento – che deve risarcire le associazioni protezionistiche con 4.000 euro, cifra su cui a ben vedere, valutando la netta portata delle parole dei giudici, sarebbe utile che provvedesse sollecitamente la Corte dei conti per recuperare la spesa dalle ricche indennità di amministratori palesemente inadeguati al loro ruolo – apre un fronte tra coloro che vorrebbero un semplice e risolutivo ricorso alle doppiette per azzerare la popolazione ursina, supportati anche dall’esito di prevedibili referendum di valle, tocca agli amministratori pubblici operare nel pieno rispetto di regolamenti europei e leggi nazionali, oltre che di regolamenti operativi di settore, il “Pacobace” per quanto riguarda gli orsi.
“Pacobace” che, detto per inciso, da quanto è stato attivato vent’anni fa, individuando il Parco Adamello Brenta in Trentino come punto focale per la reintroduzione dell’orso estinto sulle montagne dell’arco alpino, è stato sostanzialmente inattuato per la sostanziale immobilità della politica trentina – di tutti i colori: dal centro sinistra nei primi anni Duemila, dal centro destra a trazione leghista negli ultimi sette – che non ha attivato quei percorsi faunistici necessari per la gestione degli orsi e fare defluire il prevedibile incremento della popolazione ursina verso i territori di Alto Adige, Austria, Svizzera, Lombardia e Veneto.
Il monito del Consiglio di Stato è stato servito alla politica, vellicatrice di facili consensi elettorali cui ora tocca investire su una seria attuazione dei principi di convivenza tra mammiferi che abitano le montagne trentine e non solo.
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