La crisi dell’auto tedesca ed europea minaccia la manifattura padovana e veneta

Secondo Confapi a rischio 1,5 miliardi di export. Moritz: «indispensabile cambiare lo scenario europeo dei divieti all’auto termica del 2035».

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crisi dell’auto tedesca ed europea

La crisi dell’auto tedesca ed europea è ben rappresentata dal Gruppo Volkswagen, secondo produttore automobilistico mondiale, che potrebbe annunciare a giorni la chiusura di tre stabilimenti, il taglio di decine di migliaia di posti di lavoro e la riduzione degli stipendi del 10%, mentre Stellantis, scrigno di quanto resta dell’auto italiana, chiude la trimestrale segnando un pesantissimo -27% alla voce ricavi. Sono solo le ultime notizie, in ordine cronologico, del ciclo nero dell’auto europea che vede, solo nel padovano, cinquantasei imprese coinvolte direttamente, che salgono a più di duemila (2.065) quelle coinvolte direttamente o indirettamente nella filiera (oltre 11.000 in Veneto).

Sono i numeri delle aziende della subfornitura meccanica padovana elaborati da Fabbrica Padova, centro studi di Confapi, che potrebbero subire ripercussioni dalla crisi dell’auto tedesca ed europea. Allargando la prospettiva all’intero Veneto si sale a 306 imprese produttive nel settore automotive, attive soprattutto (182) nella fabbricazione di parti e accessori per gli autoveicoli e i loro motori. Ma sono 11.283 quelle che compongono la filiera regionale, che comprende la produzione di auto e componentistica, ma anche la commercializzazione e i servizi post-vendita, dando lavoro a 26.420 dipendenti, quasi 5.000 dei quali sono padovani.

Altri rilievi statistici aiutano a inquadrare la situazione della crisi dell’auto tedesca ed europea. Come noto, la Germania è il principale partner commerciale delle imprese del territorio, basti ricordare che, nel 2023, le esportazioni venete verso l’area tedesca ammontavano a 11,286 miliardi di euro, mentre quelle padovane a 1,852 miliardi. Sul totale, proprio le esportazioni delle attività manifatturiere incidono in modo preponderante, perché sono pari a 10,909 miliardi di euro per l’intero Veneto e a 1,814 miliardi per Padova. L’export del settore della produzione industriale automotive da solo vale invece circa 1,5 miliardi di euro, pari a quasi il 2% del totale delle esportazioni regionali, di cui 289 milioni sono padovani.

«È chiaro che le aziende più coinvolte sono quelle direttamente attive nella fabbricazione di parti e accessori per autoveicoli, ma le implicazioni saranno pesanti per un numero molto più ampio di imprese – commenta Marco Trevisan, presidente di Confapi Padova -. Dobbiamo infatti considerare sia l’indotto diretto sia quello indiretto, che riguarda il settore della subfornitura meccanica e comprende anche i contoterzisti che, a loro volta, riforniscono gli stessi fornitori. A oggi è impossibile quantificare quali saranno le conseguenze di una crisi internazionale, ma è purtroppo facile prevedere che non saranno indolori. Stiamo già pagando pesantemente gli effetti della recessione tedesca, quanto sta succedendo nel settore auto si aggiunge a una situazione già complicata. E, tuttavia, sono convinto che ne usciremo, come sempre abbiamo saputo fare anche in frangenti più difficili di questo; è solo questione di tempo».

Ma, quando si affronta un momento di difficoltà, «diventa necessario e produttivo rimettersi in discussione, ed è quello che dobbiamo fare oggi. In altre parole, occorre riflettere su quale futuro vogliamo dare alla nostra industria e interrogarci su come poter essere competitivi non solo adesso, ma tra uno, cinque e dieci anni, in un contesto competitivo sempre più sfidante – prosegue Trevisan -. Cosa possiamo fare perché non riaccada quanto stiamo vivendo ora? Davanti agli occhi c’è la crisi del settore automotive, ma è solo un aspetto della questione. Possiamo competere con la capacità produttiva delle principali economie asiatiche? Possiamo garantire l’accesso ai fattori produttivi critici come energia e materie prime a condizioni competitive? Possiamo permetterci un cuneo fiscale tra i più alti al mondo, che mantiene tanto alto il costo del lavoro quanto basso il potere d’acquisto dei nostri lavoratori? Quando e come saremo in grado di ridare impulso alla nostra industria con queste premesse? Ecco allora che oggi diventa più che mai urgente chiederci: quali sono gli investimenti strategici da fare per il futuro come Sistema Paese?».

Sulla questione automotive, e in particolare sulla situazione di Stellantis, si è espresso anche il presidente nazionale di Confapi, Cristian Camisa: «come Confapi, continueremo a lavorare con la piccola e media industria tedesca e con la Confederazione europea delle Pmi per portare le nostre istanze in Europa e per far sì che la fine del motore endotermico, stabilita per legge, subisca una variazione, aprendo quantomeno all’ibrido».

Circa la crisi dell’auto tedesca ed europea, Confapi Padova ha intervistato Stefan Moritz, segretario generale di CEA-PME, la Confederazione europea delle Pmi che riunisce 33 associazioni di imprese, tra cui l’italiana Confapi, e rappresenta 2,1 milioni di aziende con più di 20 milioni di addetti. Da tempo CEA-PME sostiene la necessità di rivedere la data del 2035 come termine ultimo per la produzione di autovetture a combustione endotermica passando integralmente a quelle elettriche.

Segretario Moritz, avrà sentito che la crisi Volkswagen coinvolge anche il marchio Audi, che chiuderà lo stabilimento di Bruxelles. Oltre alle annunciate chiusure probabile di tre impianti, anche il sito belga del marchio premium tedesco, dove si produce un modello elettrico (l’e-tron Q8) la cui domanda è troppo bassa, cesserà le attività…

«Quando si vedono aziende della dimensione di Volkswagen chiudere impianti, l’allarme non può che risuonare forte. Non ci resta che insistere sulla rinnovata Commissione Europea per portarla a rivedere le sue posizioni, in modo che introduca il principio della neutralità tecnologica per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni dei gas climatici: l’elettrico deve essere una delle opzioni, non l’unica soluzione. Fondamentale è guardare al ciclo di produzione della macchina e non solo a quanto esce dal tubo di scappamento. Dopodiché, che Volkswagen sia in ritardo sul piano della competitività è un fatto, ma se si vuole che li recuperi occorre darle il tempo che serve per riuscirci».

Anche attraverso dazi nei confronti delle aziende asiatiche?

«Assolutamente no, i dazi finirebbero col ritorcersi contro la stessa Volkswagen, che vende abbastanza bene in Cina e sul mercato asiatico e che soffrirebbe eventuali ripercussioni: se perde anche quel mercato può già chiudere subito. Alla Cina può essere mandato un segnale diplomatico, chiedendole di smettere con gli aiuti di Stato alle aziende automobilistiche, ma la via da percorrere non è certo quella dei dazi».

E la strada delle agevolazioni per le aziende e gli acquirenti che intendono comprare veicoli elettrici, è quella giusta?

«Secondo noi non lo è. Le agevolazioni sono comunque frutto di tasse, e chi paga le tasse? Le piccole e medie imprese. Cioè noi. Tenete conto di come le agevolazioni in genere finiscano col tradursi in regali fiscali che aiutano solo le grandi aziende, come Volkswagen e Stellantis, che hanno enormi influenze sulle sfere della politica. A noi, però, interessa salvare l’intera filiera automotive, non soltanto loro. Questo è un aspetto che deve essere centrale: il tema legato al futuro dell’automotive e alla nuova mobilità sostenibile deve essere affrontato considerando non solo i grandi gruppi automobilistici, ma anche e soprattutto le imprese dell’indotto. Diciamo piuttosto che serve un unico standard europeo per le colonnine di ricarica e uno snellimento a livello burocratico nelle certificazioni che servono per la loro costruzione: imprenditori interessati a costruire una rete efficace vi assicuro che ce ne sono e si faranno avanti, senza la necessità che siano gli Stati a mettersi in mezzo. Quello che per noi è cruciale è che la nuova Commissione Europea sostenga la competitività delle imprese e la smetta di insistere su quello che lo stesso Mario Draghi ha definito “autolesionismo”. E la competitività passa sì dalle infrastrutture che aiutino la diffusione delle auto elettriche, ma prima ancora dalla neutralità tecnologica».

Come si immagina il parco auto europeo nel 2035?

«Se non cambiamo subito le condizioni in cui devono produrre le imprese europee, per allora avremo un parco auto composto da prodotti cinesi e coreani. Se vogliamo essere solo consumatori e non produttori basta esserne consapevoli, ma sappiamo che lo pagheremo in termini di posti di lavoro e benessere. Ecco perché occorre puntare su soluzioni come il bifuel e il biodiesel, su cui l’Italia – e la Fiat in particolare – è molto competitiva, prodotti che presentano emissioni molto basse. Perché insistere su un cambiamento totale e così rapido, quando invece può essere affrontato in modo più sostenibile economicamente? Vedete, oggi stanno arrivando al pettine molti nodi introdotti dalla legislazione del precedente Parlamento Europeo. Un esempio? Nel 2026 è previsto il riesame delle norme Ue che fissano lo stop alla produzione di auto Diesel e a benzina entro il 2035. Noi chiediamo che il riesame venga anticipato al 2025, perché aspettare un anno in più sarebbe dannoso per la programmazione del settore. Chiediamo, invece, che vengano ricalibrati i target alla luce degli sviluppi tecnologici occorsi nel frattempo. Affrontando la questione della neutralità tecnologica senza tabù».

 

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