Grazie alle misure restrittive imposte per legge in questi ultimi due anni, l’effetto negativo del Superbonus 110% sui conti pubblici italiani si è quasi esaurito. Tuttavia, dall’introduzione di questa agevolazione sino al 31 agosto scorso, gli oneri complessivi a carico dello Stato sfiorano i 123 miliardi di euro per efficientare poco meno di 500.000 immobili.
Considerando che in Italia gli edifici residenziali sono circa 12,2 milioni, l’Ufficio studi della CGIA stima che il Superbonus 110% abbia interessato solo il 4% del totale degli immobili ad uso abitativo presenti nel Paese. In un momento così delicato, dove con la prossima legge di bilancio verranno chiesti sacrifici a tutti, l’aver speso oltre 6 punti di Pil per efficientare uno sparuto numero di abitazioni, fa arrabbiare chiunque abbia un minimo di buon senso.
In linea generale, con il Superbonus 110% lo Stato ha speso una cifra spaventosa, migliorando l’efficienza energetica di una quota infinitesima di edifici presenti nel Paese. Ma, stando alle prime indiscrezioni, sembrerebbe aver favorito maggiormente i proprietari di immobili con una buona/elevata capacità di reddito, anziché rivolgersi in via prioritaria alle famiglie meno abbienti che, in linea di massima, presentano una probabilità maggiore di risiedere in abitazioni in cattivo stato di conservazione e con un livello di efficienza energetica molto basso.
Non tutti, secondo la Cgia, sono concordi nel ritenere che il Superbonus 110% contribuirà in misura importante ad abbattere le emissioni di inquinanti. Ancorché non ci siano valutazioni scientifiche rigorose sotto il profilo ambientale, l’abbattimento di CO2 sarebbe molto contenuto. Sempre secondo la Banca d’Italia, le prime evidenze dimostrerebbero che nello scenario migliore i benefici ambientali del Superbonus compenserebbero i costi finanziari sostenuti in quasi 40 anni.
Non solo, ci sono alcuni esperti internazionali che sostengono che la riduzione delle emissioni ottenuta con l’applicazione del Superbonus 110% poteva essere maggiore, se si fosse incentivata l’elettrificazione dei sistemi di riscaldamento degli ambienti, la cottura di cibi e la produzione di acqua sanitaria. Insomma, in alternativa al gas-metano, sarebbe consigliabile utilizzare vettori elettrici (come le pompe di calore e le piastre a induzione), che sono significativamente più efficienti delle tecnologie che impiegano fonti fossili. Sempre che ci sia energia elettrica sufficiente per alimentarli.
Chi politicamente ha voluto e continua a difendere questo provvedimento (M5s ideatore del provvedimento con l’acquiescenza del Pd e SI), sostiene che non si debba guardare solo alla spesa che lo Stato si è fatto carico fino ad ora, ma anche agli effetti economici positivi che esso ha generato. Vale a dire più gettito (Irpef, Ires, Iva, etc.), più occupazione, più Pil, più risparmio energetico e meno emissioni inquinanti.
E’ un’obiezione legittima che, tuttavia, è facilmente confutabile dalla tesi sostenuta da tempo dalla CGIA. Se, invece di ricorrere al Superbonus 110% per incentivare quasi esclusivamente gli interventi di edilizia privata su edifici quasi sempre non popolari, ci si fosse avvalsi di questa misura per demolire e ricostruire solo gli edifici residenziali pubblici, le conseguenze appena richiamate dai “sostenitori” della ristrutturazione “aggratis” delle case sarebbero state praticamente le stesse. Con 123 miliardi di euro si sarebbe teoricamente potuto costruire 1,2 milioni di alloggi pubblici, 400.000 in più di quanti sono presenti nel Paese. Con una differenza sostanziale: nel secondo caso si sarebbe compiuta un’azione di giustizia sociale che la misura attualmente in vigore ha paurosamente disatteso, anzi ha dato il via ad una sorta di Robin Hood all’incontrario, dove i poveri hanno finanziato con le loro tasse la ristrutturazione di ville, villini, seconde case e pure 7 castelli.
Al 31 agosto scorso, gli interventi di ristrutturazione/efficientamento edilizio realizzati per mezzo del Superbonus 110% sfiorano le 500.000 unità (precisamente 496.315). Nonostante gli oneri a carico dello Stato siano pari a 123 miliardi di euro, solo il 4,1% del totale degli edifici residenziali presenti nel Paese è stato interessato dall’agevolazione fiscale.
A livello regionale, è il Veneto ad aver registrato il ricorso più numeroso alla regalia grillina. Con 59.652 asseverazioni depositate, l’incidenza percentuale di queste ultime sul numero degli edifici residenziali esistenti è stata pari al 5,6%. Seguono l’Emilia Romagna con 44.438 asseverazioni e un’incidenza del 5,4%, il Trentino Alto Adige con 11.342 interventi e sempre con un tasso del 5,4%, la Lombardia con 78.125 asseverazioni e un’incidenza del 5,2% e la Toscana con 38.532 operazioni e anch’essa con una incidenza del 5,2%. Per contro, a “snobbare” la ristrutturazione “aggratis” sono state le regioni del Mezzogiorno: Molise e Puglia, ad esempio, hanno interessato solo il 2,9% dei propri edifici residenziali, la Calabria il 2,6% e la Sicilia solo il 2,2%.
Sempre a livello nazionale, l’onere medio per edificio residenziale a carico dello Stato è stato di 247.819 euro. Il picco massimo in Valle d’Aosta con 401.040 euro per immobile: seguono la Basilicata con 299.963 euro, la Liguria con 298.314 euro, la Lombardia con 296.107 euro e la Campania con 294.679 euro. Chiudono la graduatoria il Veneto con un costo medio per intervento di 194.913 euro per edificio, la Sardegna con 187.440 e, infine, la Toscana con 182.919 euro.
Per rimanere sempre aggiornati con le ultime notizie de “Il NordEst Quotidiano”, iscrivetevi al canale Telegram per non perdere i lanci e consultate i canali social della Testata.
Telegram
https://www.linkedin.com/company/ilnordestquotidiano
https://www.facebook.com/ilnordestquotidian
X
https://twitter.com/nestquotidiano
© Riproduzione Riservata