Giovani in fuga dall’Italia: il paese perde 8,4 mld all’anno spesi in formazione

Indagine della Fondazione NordEst secondo cui cresce la fuga dei laureati, ben il 43,1% dei giovani all’estero nel 2022. Dato che cresce ancora di più nel NordEst.

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Giovani in fuga

L’Italia si sta trasformando in un serbatoio di esportazione di giovani in fuga spesso in possesso di un’alta formazione culturale composta da università e master, a tutto vantaggio dei paesi di destinazione che, ai giovani formati con un costo medio annuo di 8,4 miliardi, ringraziano per il gentile omaggio loro fornito, ricompensato con quei maggiori stipendi che il sistema economico nazionale non riesce a riconoscere.

Secondo l’indagine effettuata dalla Fondazione NordEst, nel 2022 il 43,1% dei giovani in fuga che ha lasciato l’Italia aveva un titolo terziario, dal 37,7% nel 2021 e dal 31,6% nella media 2011-2022. Dato che sale al 51,5% tra gli emigrati dal Friuli Venezia Giulia, il 50,7% dalla Lombardia, il 49,3% dall’Emilia Romagna e il 49,2% dal Veneto. Nello stesso anno i giovani con laurea in tutta Italia erano il 29,2%.

La stima della Fondazione NordEst sul valore del capitale umano considera l’investimento pubblico per l’istruzione e quello delle famiglie per ogni figlio fino al termine degli studi. Un investimento di cui beneficiano i Paesi di destinazione, che sanno come mettere a frutto energia, valori, saperi e voglia di imparare e crescere dei giovani. Così nella caccia globale ai talenti l’Italia è sempre più preda inerme.

La nuova ondata dei giovani in fuga, iniziata nel 2011, si sta sempre più caratterizzando come uscita di laureati. Se fino al 2018 la loro quota era inferiore al 30%, dal 2019 è iniziata a salire fino a superare di slancio il 43% nel 2022. Non sono ancora disponibili i dati 2023, in attesa di validazione all’ISTAT.

L’emorragia dei giovani in fuga laureati è particolarmente intensa dalle regioni settentrionali, dove pure le occasioni di impiego dovrebbero essere maggiori, data la più elevata concentrazione di imprese manifatturiere e di servizi basati sulla conoscenza.

Così nel 2022 oltre la metà dei giovani che sono partiti da Friuli Venezia Giulia e Lombardia aveva il diploma universitario, e quasi la metà quelli che hanno lasciato Emilia Romagna e Veneto per l’estero. Segno che il tessuto produttivo non sa valorizzarli come accade negli altri paesi europei avanzati. A riprova della scarsa attrattività dell’Italia per i giovani.

All’opposto, una quota minore di giovani emigranti che partono dalle regioni del Sud è laureata. Occorre considerare che molti giovani meridionali finiscono gli studi negli atenei settentrionali, o del centro del Paese (soprattutto romani), prima di emigrare.

L’aumento dei laureati che emigrano è stato particolarmente forte nelle regioni nordestine: +19,3 punti percentuali la differenza tra 2022 e media 2011-22 in Friuli Venezia Giulia, seguito dal Veneto con +16,0 punti; al terzo posto le Marche (+15,0 punti), poi Lombardia (+14,4) ed Emilia Romagna (+14,0).

Nel 2022 oltre il 40% dei giovani italiani emigrati aveva completato solo gli studi secondari superiori, contro il 38% della media 2011-22. Mentre solo il 17% non aveva concluso il percorso formativo superiore, rispetto al 31% medio del periodo.

Se i laureati sono facilmente etichettabili come “talenti”, non vanno trascurati i valori di intraprendenza, coraggio, voglia di fare e imparare, di affermarsi e darsi chance migliori di chi lascia il Paese pur sprovvisto del più alto titolo di studio.

Nella media del biennio 2021-22, il valore annuo del capitale umano uscito con i giovani è stato di 8,4 miliardi a prezzi del 2023. Al primo posto la Lombardia, con un deflusso annuale che si colloca a 1,4 miliardi, e al secondo il Veneto, con 0,9 miliardi, poi la Sicilia e la Campania (0,8), il Piemonte (0,7) e l’Emilia Romagna.

Nei tredici anni 2011-23, il valore del capitale umano che se ne è andato dall’Italia, incorporato nei giovani 18-34 emigrati, è pari a 133,9 miliardi, con la Lombardia a svettare per perdita (22,8 miliardi), seguita dalla Sicilia (14,5) e dal Veneto (12,5). Quarta la Campania (11,7). Il dato del 2023 è stato calcolato distribuendo il saldo migratorio dei giovani usciti dall’Italia in base alla distribuzione media per titoli di studi dei saldi migratori registrata nel biennio 2021-22.

Un aspetto rilevante è che, simmetricamente all’aumento della quota dei laureati sui giovani che emigrano, si è registrato nel biennio 2021-2022 il calo della quota dei laureati sui giovani che rientrano. Segno che un giovane laureato ha probabilmente migliori opportunità di integrazione e crescita professionale nel nuovo paese di accoglienza rispetto ad uno in possesso di titoli di studio inferiori.

I dati della ricerca evidenziano la necessità di un cambio di passo nelle politiche del lavoro, favorendo l’ingresso anticipato dei giovani laureandi nel mondo del lavoro e assicurando retribuzioni commisurate alle loro capacità. Continuare sulla china della perdita di forze lavoro giovani a fronte di una popolazione in continuo invecchiamento e, soprattutto, a fronte degli ingenti investimenti pubblici nella loro formazione che poi viene goduta gratuitamente da altri paesi è un oltraggio grave al comune buon senso.

 

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