In Italia la vita per chi intraprende o svolge una libera professione è sempre più difficile, tanto che negli ultimi anni dopo la pandemia da Covid si è assistito ad una falcidia dei lavoratori autonomi, passati da 8 a 4,7 milioni, come testimonia la ricerca svolta dal Centro studi Autonomi e Partite Iva presentata al Cnel dal presidente Eugenio Filograna.
«Si tratta di un dato eloquente sull’insoddisfazione professionale ed economica di tanti commercianti, professionisti, lavoratori autonomi – commenta Filograna -. È impensabile che lo Stato, che dovrebbe incentivare, disincentiva. Anziché essere elemento di efficienza, lo Stato è fattore di inefficienza».
Filograna ha poi illustrato quali siano i reali dati relativi all’evasione fiscale: «merita di essere valorizzata la distinzione tra chi evade nel vero senso della parola, omettendo il pagamento delle tasse pur avendone la possibilità (certamente una minoranza) e chi, invece, non riesce proprio a reggere il peso di una tassazione abnorme divenuta insostenibile a seguito di una congiuntura difficile che non può non tener conto delle crisi sanitarie e belliche, di liquidità e di riduzione dei consumi da inflazione, oltre ai problemi strutturali del Paese».
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Secondo la ricerca del Centro studi Autonomi e Partite Iva i lavoratori autonomi e le Partite Iva sopportano di tasca propria 250 miliardi di extracosti dovuti a costi burocratici, crediti non pagati dalla pubblica amministrazione, deficit infrastrutturali, ritardi nelle procedure amministrative e giudiziarie, sprechi, inefficienze, ecc. Un costo esorbitante che non solo rende gli autonomi e le Partite IVA creditori di ben 140 miliardi nei confronti della pubblica amministrazione nelle sue varie declinazioni centrali e territoriali, al netto dell’evasione ipotizzata, ma di fatto sottrae le risorse necessarie al pagamento della tassazione a chi avrebbe tutta la volontà di adempiere.
Lo Stato tosa il lavoro autonomo anche sul fronte previdenziale, come ha testimoniato il presidente della Cassa Dottori Commercialisti, Stefano Distilli, nel corso dell’audizione nella Commissione parlamentare per il controllo sulle forme previdenziali: la Cassa che annovera oltre 73.000 iscritti e un patrimonio di 11,5 miliardi di euro, versa ogni anno nelle casse dello Stato la bellezza di 71,5 milioni di euro, di cui 53,3 milioni a titolo di tassazione sulle rendite finanziarie.
Tassazione che sulle Casse di previdenza privatizzate che svolgono funzione obbligatoria sostitutiva dell’Inps ammonta al 26% dopo il ritocco al rialzo perpetrato dal governo di Matteo Renzi per finanziare le sue spesucce, quando la tassazione sui fondi della previdenza complementare – la cosiddetta “seconda gamba” previdenziale, ma non obbligatoria – è al 20% e quella dell’Inps è a quota zero.
Un prelievo che i professionisti hanno più volte chiesto di ridurre nell’ambito della delega fiscale, equiparandolo almeno a livello dei fondi pensione se proprio non è possibile arrivare a quota zero, anche per potere offrire agli iscritti un trattamento previdenziale contributivo un po’ più ricco e, soprattutto, più alto delle pensioni sociali, cui il governo punta ad incrementare a 1.000 euro al mese anche per coloro che sono stati sconosciuti sia all’Erario che all’Inps.
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