Sul settore automotive europeo la tempesta va intensificandosi con gli annunci di cali di fatturato e di crisi aziendali causa gli obiettivi imposti dal “Green Deal” europeo fissati da qualche politico e da qualche burocrate ideologizzato totalmente digiuno di tecnica e di cognizioni ambientali: dopo Volkswagen ora tocca alla BMW che taglia le stime.
Bmw taglia e rivede al ribasso le stime sul fatturato sull’intero esercizio e il titolo crolla in Borsa, lasciando sul campo l’11,1% sulla piazza di Francoforte con un effetto anche sugli altri gruppi del comparto. Dopo Volkswagen (-3,3%), secondo produttore automobilistico mondiale, è il gruppo di Monaco di Baviera a lanciare l’allarme. La scorsa settimana a Wolfsburg avevano paventato il rischio di chiudere 2 stabilimenti in Germania a causa di minori vendite per 500.000 vetture. Ora l’allarme viene dal consiglio di amministrazione di BMW, dove gruppo che controlla anche il marchio Mini prende atto dei «venti contrari nel settore auto dovuti al blocco delle consegne» e in parte agli interventi tecnici legati all’Ibs, il sistema frenante integrato fornito a Bmw da Continental. Quest’ultima ha ammesso i problemi e sottolineato che non è a rischio la sicurezza di chi guida le auto da richiamare.
Bmw taglia e prevede un «effetto negativo sulle vendite mondiali nella seconda parte dell’anno», legato al blocco delle consegne, mentre i problemi dovuti all’Ibs riguardano 1,5 milioni di veicoli. Lo scorso anno Bmw ha venduto 2,25 milioni di auto, comprese quelle a marchio Mini, e sta valutando se sui freni difettosi sia sufficiente agire via software o serva la sostituzione fisica di alcuni pezzi. Il costo complessivo dell’operazione supera comunque i 500 milioni di euro.
A pesare sui conti c’è anche la Cina, dove il calo della domanda in atto pesa sui volumi di vendita e «nonostante le misure stimolo del governo – spiegano a Monaco – la fiducia dei consumatori rimane bassa». Il tutto si traduce in un «significativo calo dell’utile prima delle tasse». Per il momento Bmw prevede un ribasso dell’utile operativo, in calo dal precedente 8-10% al 6-7% dei ricavi e sul rendimento del capitale investito (Roce), che scende dal 21-26% al 14-16%.
Dopo l’annuncio della chiusura di un paio di fabbriche in Germania, il gruppo Volkswagen ha formalizzato al sindacato dei metalmeccanici tedesco Ig Metall la disdetta di una serie di accordi sindacali, tra cui quello trentennale che garantisce i livelli occupazionali in Germania.
«Il gruppo si vede costretto a fare ciò per effetto delle attuali sfide economiche – si legge in una nota interna -. Dobbiamo mettere Volkswagen nella posizione di ridurre i costi in Germania a livelli competitivi così da poter investire nelle nuove tecnologie e nei nuovi prodotti con le nostre risorse».
L’accordo sindacale di Volkswagen è in vigore dal 1994 e nella sua versione attuale garantisce i posti di lavoro fino al 2029. La disdetta apre la strada a potenziali licenziamenti a partire dal 30 giugno 2025. «Questo periodo – afferma il capo delle risorse umane, Gunnar Kilian – ci offre ora l’opportunità di trovare, in collaborazione con i rappresentanti dei lavoratori, soluzioni che ci consentano di posizionare la Volkswagen in modo sostenibile in termini di competitività e futuro».
Nel tentativo di uscire dall’angolo in cui l’hanno costretta la debolezza del mercato dell’auto e la forte concorrenza nell’elettrico dei produttori cinesi e di Tesla, Volkswagen ha annunciato l’intenzione di tagliare drasticamente i cbosti e di varare una profonda ristrutturazione, arrivando a ipotizzare anche la chiusura uno o più dei suoi sei stabilimenti in Germania, dove impiega quasi 300.000 dipendenti.
Secondo l’ex capo di Porsche e membro del Consiglio di sorveglianza di Volkswagen, Wendelin Wiedeking, il gruppo Volkswagen non potrà evitare tagli severi: «Volkswagen farebbe bene a sottoporsi a una revisione radicale in Germania».
Rispetto a molte altre sedi l’efficienza degli stabilimenti in Germania è sempre stata peggiore. «Ci sono sempre state troppe persone a bordo» ha sottolineato Wiedeking secondo cui l’amministratore delegato di Volkswagen, Oliver Blume, non ha altra scelta che intraprendere un duro percorso di riorganizzazione.
Intanto, sull’intero settore automotive europeo pende il rischio della mannaia delle multe della Commissione europea per avere superato il limite delle emissioni a livello di gamma di prodotto. Secondo l’amministratore delegato di Renault e presidente dell’Acea, l’associazione europea dei costruttori, Luca de Meo, pende sul settore una multa da ben 15 miliardi di euro perché i costruttori non sono riusciti ad immatricolare i preventivati 2,5 milioni di veicoli interamente elettrici indispensabili per abbattere le medie delle emissioni, con agosto che a livello europeo registrava un ulteriore calo delle vendite di veicoli elettrici del 10,8%.
E se il ministro dell’industria italiano, Adolfo Urso, chiede una rapida revisione dei piani illusori ed irrealistici di elettrificazione della mobilità europea, viceversa dal commissario europeo del settore, il francese Thierry Breton, finge di non accorgersi della mutata realtà e spinge le case costruttrici a proseguire con maggiore lena sull’elettrificazione della mobilità per centrare il totale passaggio all’elettrico entro il 2035.
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