Apple e Google sanzionati definitivamente dalla Corte di Giustizia

La prima per non avere pagato le tasse in Irlanda grazie ad un accordo preferenziale con lo Stato. La seconda per abuso di posizione dominante.

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Apple e Google

Sulle grandi del digitale, Apple e Google, s’è abbattuta la mannaia della Corte di giustizia dell’Unione europea che ha sanzionato le due aziende, confermando per la prima l’obbligo di pagare all’erario irlandese 13 miliardi di euro di tassealleggerite” dagli accordi fiscali con il governo di Dublino, mentre per l’altra è stata confermata la sua posizione dominante sul mercato delle ricerche digitali e del commercio elettronico con un’ammenda da 2,4 miliardi di euro.

La Corte di giustizia dell’Unione Europea ha rigettato il ricorso presentato da Google, di fatto confermando l’ammenda di circa 2,4 miliardi di euro inflitta al colosso tech americano dalla Commissione europea nel 2017. Google e Alphabet (la holding proprietaria del portale) avevano contestato la decisione della Commissione davanti al Tribunale dell’Unione europea che, nel 2021, aveva respinto il ricorso, confermando l’ammenda. A quel punto, l’azienda americana impugnava ulteriormente la sentenza davanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea, rigettandola e confermando l’ammenda.

La condanna era arrivata in seguito all’abuso di posizione dominante messo in atto da Google su vari mercati nazionali europei. La Corte ha precisato che «il diritto dell’Unione sanziona non l’esistenza stessa di una posizione dominante, bensì soltanto lo sfruttamento abusivo di quest’ultima».

Sul fronte di Apple, la Corte di giustizia Ue ha annullato la sentenza del Tribunale riguardante gli accordi fiscali adottati dall’Irlanda a favore di Apple. La Corte ha deciso definitivamente sulla controversia confermando la decisione della Commissione europea del 2016: l’Irlanda ha concesso alla Apple un aiuto illegale che tale Stato è tenuto a recuperare.

Nel 2016 la Commissione europea ha deciso che alcune società appartenenti al gruppo Apple avevano beneficiato, dal 1991 al 2014, di indebiti vantaggi fiscali costitutivi di un aiuto di Stato concesso dall’Irlanda. Tale aiuto riguardava il trattamento fiscale degli utili generati da attività della Apple al di fuori degli Stati Uniti.

Nel 2020 il Tribunale ha annullato la decisione adottata dalla Commissione, ritenendo che quest’ultima non avesse sufficientemente dimostrato l’esistenza di un vantaggio selettivo a favore di tali società. Nel pronunciarsi sull’impugnazione, la Corte annulla la sentenza del Tribunale e statuisce definitivamente sulla controversia, confermando al contrario la decisione della Commissione.

Le decisioni della Corte di giustizia europea, arrivate a sentenza dopo quasi otto anni, sono salutate con favore dal commissario europeo alla Concorrenza, l’uscente Margrethe Vestager: «si tratta di una grande vittoria per la Ue come per i contribuenti europei e le politiche in favore di un terreno di gioco equo nel business e del mercato unico».

Le due sentenze di oggi rinfrancano notevolmente l’Antitrust europeo, al termine del mandato Vestager, che non a caso indica come la Corte abbia preso posizione su Apple/Irlanda e su Google Shopping in via definitiva. Per quanto riguarda il caso Apple Vestager parla di «una vittoria per la parità di condizioni nel mercato unico e per la giustizia fiscale» rivendicando che non solo la Ue ha messo sotto tiro la pianificazione fiscale aggressiva delle multinazionali, come è dimostrato dal fatto che tali gruppi «sono stati portati dinanzi alle commissioni parlamentari negli Stati Uniti e nel Regno Unito per spiegare i loro accordi fiscali nascosti. Si stava verificando un cambiamento epocale. Le evasioni fiscali aziendali sono state messe sotto i riflettori dai giornalisti investigativi, come il consorzio che ci ha portato LuxLeaks. Hanno rivelato che alcune società non pagavano quasi nessuna imposta in Europa abusando di scappatoie e asimmetrie tra diversi sistemi fiscali. E che pochi Stati membri facevano affidamento su ruling fiscali e accordi di pianificazione fiscale aggressiva per diventare una destinazione più attraente per gli investimenti multinazionali. Ciò ha danneggiato altri Stati membri e il contribuente europeo».

Di qui l’azione di Bruxelles su diversi “rulingfiscali e misure di pianificazione fiscale, nei casi Belgian Excess Profit, Amazon, Fiat e Apple. «Questi ruling fiscali attribuivano la maggior parte degli utili imponibili, di due sussidiarie irlandesi di Apple, a sedi centrali senza Stato, che esistevano solo sulla carta. Niente tavoli, niente sedie, niente attività. Gli utili non erano quindi tassati da nessuna parte – specifica Vestager -. Ad esempio, nel 2011, una delle sussidiarie irlandesi di Apple ha registrato utili per circa 16 miliardi di euro. Di questi, grazie ai ruling fiscali, solo circa 50 milioni di euro erano tassabili in Irlanda. Quindi, questa sussidiaria ha pagato meno di 10 milioni di euro di tasse in Irlanda nel 2011, un’aliquota fiscale effettiva di circa lo 0,05% di questi utili annuali complessivi».

Con la decisione di oggi, le imposta recuperate (13 miliardi di euro), somme che sono state in un conto deposito a garanzia per diversi anni in Irlanda durante i procedimenti giudiziari in corso, devono essere rilasciate allo Stato irlandese.

Rispondendo alla critica di attentare alla sovranità fiscale degli Stati, Vestager ha ricordato: «anche se i ruling fiscali non sfuggono al controllo degli aiuti pubblici, gli Stati membri hanno la competenza esclusiva di definire il loro sistema di tassazione delle società», però «la Commissione può esercitare il controllo per evitare che le imprese ricevano vantaggi fiscali ingiusti tramite ruling che derogano alla legge nazionale, alla giurisprudenza nazionale o alla prassi amministrativa. Una volta che gli Stati membri hanno esercitato la loro sovranità fiscale, l’amministrazione fiscale deve attenersi alle proprie regole. La Commissione ha l’onere di provare che gli Stati membri si sono discostati dai propri parametri. E questo è ciò che la Corte ha confermato oggi nel caso Apple».

Vestager ha rivendicato che le indagini Ue di questa natura «hanno contribuito in modo decisivo a un cambiamento di mentalità, un cambiamento di atteggiamenti tra gli Stati membri. Hanno contribuito a innescare o accelerare riforme normative e legislative. Nel caso dell’Irlanda, oggi, il caso Apple non potrebbe più verificarsi perché sono state modificate le norme sulla residenza fiscale delle società per impedire alle società costituite in Irlanda di essere apolidi ai fini fiscali. Ma anche altri hanno cambiato rotta».

Sulla scia dell’indagine Fiat, il Lussemburgo ha adottato «modifiche sostanziali alla sua legislazione per garantire la conformità al principio di libera concorrenza. Hanno anche chiarito il trattamento fiscale delle società finanziarie. Pertanto, anche il caso Fiat non potrebbe ripresentarsi oggi».

In Olanda la politica sui ruling fiscali è cambiata: dal 2019 ha adottato una legislazione per contrastare l’uso di società fittizie per eludere o evadere le tasse. Ora una società deve avere una presenza economica significativa in Olanda per ottenere un ruling fiscale.

A Cipro, nel 2013 e nel 2017 sono state apportate modifiche nell’ambito dei prezzi di trasferimento: norme più chiare per quanto riguarda determinate transazioni finanziarie e l’introduzione di principi generali sui prezzi di trasferimento, ispirati dall’Ocse.

Vestager ha colto l’occasione per delineare un bilancio politico dell’azione europea in difesa del mercato unico: negli ultimi dieci anni c’è stata maggiore trasparenza fiscale attraverso varie modifiche della direttiva sulla cooperazione amministrativa nel campo della tassazione: per esempio dal 2017, lo scambio automatico di ruling fiscali tra Stati membri ne ha ridotto l’uso a fini di vantaggio fiscale. Sono state attuate le misure anti-erosione della base imponibile e anti-trasferimento degli utili. La Ue ha adottato la direttiva sul livello minimo effettivo di tassazione globale, con un’aliquota minima effettiva dell’imposta sulle società del 15%.

La Commissione ha adottato due proposte legislative: la prima per contrastare l’uso di entità fittizie e altri accordi a fini fiscali; la seconda mira ad armonizzare le norme sui prezzi di trasferimento all’interno della Ue.

«Purtroppo, ma forse non troppo sorprendentemente, le discussioni in Consiglio su queste proposte non stanno procedendo bene», ha detto Vestager. In ogni caso «le pratiche di pianificazione fiscale aggressiva sono ancora diffuse, sembrano essere centrali quando si tratta di trasferimento degli utili».

Apple ha cercato una difesa rispetto agli sconti fiscali di cui ha goduto: «paghiamo sempre tutte le tasse che dobbiamo dove operiamo e non c’è mai stato un trattamento speciale». Apple ha accusato la Commissione europea di cercare di «cambiare retroattivamente le regole e di ignorare che, come richiesto dalla legislazione fiscale internazionale, i proventi erano già soggetti a tasse negli Stati Uniti».

Per l’Oxfam le sentenze rappresentano una «importante vittoria per la giustizia fiscale. La decisione della Corte di Giustizia porta nuovamente alla ribalta il pervicace ruolo dei paradisi fiscali europei nella deleteria corsa al ribasso in materia di fisco societario e rende giustizia, dopo dieci anni, a chi denunciava con forza le potenziali pratiche elusive di Apple in Irlanda – afferma da Oxfam Italia, Mikhail Maslennikov -. La sentenza comporta l’obbligo per l’Irlanda di recuperare le ingenti imposte eluse da Apple in oltre un decennio. É certamente una vittoria significativa, ma la strada per garantire una maggiore giustizia fiscale resta ancora lunga. Sulla scorta della decisione della Corte – prosegue – le istituzioni europee devono dare un ulteriore, vigoroso, impulso legislativo all’azione di contrasto alla pianificazione fiscale aggressiva delle multinazionali e al dumping fiscale intra-Ue, per garantire condizioni eque di concorrenza nell’area economica europea ed evitare abusi che privano i governi di ingenti risorse erariali indispensabili per la lotta alle disuguaglianze, all’esclusione sociale e al cambiamento climatico».

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