Se l’automotive europeo sta portando nel baratro ampie fette dell’economia e dell’occupazione europea per via del divieto di vendere veicoli con motore a benzina e Diesel a partire dal 2035, dal 1° gennaio 2025 c’è in agguato un’ennesima mannaia sul settore, le multe Ue legate al superamento dei livelli di emissione per chilometro della media della gamma di prodotto da 116 g/km/CO2 ridotte al valore di 94g/km/CO2, con un taglio di ben il 19% che è di fatto inattuabile per la quasi totalità dei produttori di auto storici europei, ovvero quelli che hanno una gamma di prodotto ancora prevalentemente formata da modelli con motori termici, gli unici che al momento sono acquistati dai consumatori.
Gli obiettivi fissati dal legislatore sono fuori scala e già ora largamente non rispettati rispetto alle emissioni pure, con le case costruttrici che evitano le multe Ue solo grazie all’acquisto dei crediti “verdi” da parte di coloro che hanno gamme totalmente elettriche, come Tesla o i produttori cinesi, che ringraziano sentitamente (e i buoni dati di bilancio di Tesla sono dati esclusivamente dalla vendita dei crediti “verdi”, a fronte di un risultato industriale in rosso).
Secondo le simulazioni Dataforce, società di analisi di mercato, il gruppo Volkswagen dovrebbe avere una quota di vendite di auto elettriche ed ibride plug-in del 36%: lo scorso anno era il 18% e nel 2024 sarà tanto se arriva al 16%. Meno della metà degli obiettivi. Non sta meglio il gruppo Stellantis: per il 2025 il valore da centrare sarebbe il 26%, ma nel 2023 non è arrivata a 18% e mentre nel 2024 supera appena il 13%. Ford per il 2025 dovrebbe fare quasi il 35%, a fronte di un 2023 chiuso sopra il 15% e il 2024 calato a poco più del 13%.
Tutto ciò in un contesto dove le vendite di auto completamente elettriche stanno calando per via del taglio agli incentivi pubblici e all’ormai presa d’atto dei consumatori che hanno capito, nonostante il martellamento continuo della pubblicità delle case costruttrici, che spendere soldi per un’auto elettrica equivale praticamente a buttarli via, per il costo ancora maggiore rispetto a quella termica, per il suo rapido deprezzamento, ai costi di ricarica nei puti pubblici ad alta potenza, della ridotta autonomia e dei tempi di ricarica ancora elevati, del rischio maggiore di incendio e dei costi di ripristino anche per un semplice incidente per via della diffusa necessità di provvedere anche alla sostituzione della batteria andata in protezione.
Di fatto anche le case costruttrici hanno capito che la scelta del “tutto elettrico” porta dritto al fallimento e alla chiusura di intere fabbriche e al licenziamento di migliaia di lavoratori diretti e dell’indotto, come ha annunciato anche la stessa Volkswagen innescando uno shock tra la popolazione e tra i politici tedeschi, tanto da annunciare il ritorno alla produzione di motori termici, così come ha fatto la Volvo. Di qui la richiesta dei Liberali tedeschi, parte del governo di coalizione “semaforo” di Berlino di fare pressioni per chiedere la cancellazione del divieto europeo alla vendita di veicoli con motori a benzina e Diesel, oltre a cancellare le assurde sanzioni per il supero delle emissioni a livello di gamma di prodotto, proposta cui sì è allineata anche l’Italia, con i produttori della filiera che sono in mobilitazione.
L’Europa può e deve rivedere le proprie strategie demagogiche e fallimentari, perché non centrano affatto l’obiettivo di ridurre le emissioni della mobilità, che potrebbero essere centrate da una maggiore diffusione dei propulsori Diesel alimentati a biodiesel, innescando un vero circolo virtuoso di economia circolare e sostenibile.
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