Un nuovo, pesante mattone sta cadendo sulla testa di coloro che hanno approfittato della ristrutturazione “aggratis” della casa di abitazione, della casa vacanza e pure di 8 castelli tramite il Superbonus 110% e successive declinazioni al ribasso: ora arriva la sorpresa Superbonus 110%, che va ad aggiungersi alla gabella della tassazione della plusvalenza dell’immobile ristrutturato al 26% in caso di vendita entro 10 anni dalla ristrutturazione (legge n. 212/2023 articolo 1, commi dal 64 al 67), sempre che colui che ha incassato l’agevolazione si sia premurato di fare un’asseverazione del valore dell’immobile prima della ristrutturazione. Altrimenti son dolori, e la rivalutazione va applicata sull’unico valore dichiarato ed accertato, quello dell’atto di compravendita, che spesso risale nel tempo e presenta valori largamente inferiori a quelli al momento dell’effettuazione della ristrutturazione.
Questa non è l’unica sorpresa Superbonus 110%: ce ne sono altre, decisamente più indigeste e pesanti, tanto da cadere nel penale. Chi dovesse vendere l’immobile riqualificato con il Superbonus potrebbe conseguire un ingente guadagno economico, finanziato in parte dal contributo dei cittadini. Secondo la posizione dell’Agenzia delle entrate e di alcune sentenze della Cassazione, chi mette in atto una pluralità di azioni al fine di vendere un bene dal rilevante valore economico può rientrare nella nozione di attività d’impresa, come regolata dall’art. 55 del Testo unico imposte sul reddito.
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Secondo la sentenza della Cassazione n. 3699/2022, «non può escludersi la qualifica di imprenditore in colui il quale compia un unico affare, di non trascurabile rilevanza economica, a seguito dello svolgimento di un’attività che abbia richiesto una pluralità di operazioni». Questo potrebbe essere il caso di un privato proprietario di una casa singola o di una piccola palazzina che abbia provveduto ad utilizzare il Superbonus gestendo direttamente tutte le pratiche e gli affidamenti a tecnici ed imprese, mentre dovrebbe essere escluso il proprietario di un’abitazione in condominio che abbia aderito al Superbonus tramite gli uffici di un amministratore condominiale.
Dal contenuto della sentenza della Cassazione e dall’interpretazione che ne dà l’Agenzia delle entrate derivano conseguenze pesanti, perché potrebbe aprire lo scenario di un’attività imprenditoriale, assoggettabile ad Iva e all’Irap, esercitata di fatto in nero, perché privo di idonea posizione fiscale e, conseguentemente esposta a sanzioni e a reato penale. Non solo: visto che la normativa istitutiva del Superbonus 110% (art.119, comma 9, lettera b) del decreto 34/2020) escludeva espressamente di accedervi per coloro che esercitino attività d’impresa, con l’ulteriore conseguenza di dover restituire al Fisco i benefici goduti con il Superbonus per carenza del requisito soggettivo.
La situazione appare decisamente rischiosa e, in carenza di adeguate norme che ne escludano conseguenze, è decisamente consigliabile astenersi da ogni velleità di vendita dell’immobile ristrutturato “aggratis” per non incappare nella sorpresa Superbonus 110% almeno fintanto che non saranno trascorsi i 10 anni attualmente previsti per fare scattare la tassazione della plusvalenza, anche se non è ancora chiaro se per l’Agenzia delle entrate sarà sufficiente il trascorrere dei due lustri per non fare scattare la presenza di attività imprenditoriale esercitata illegalmente.
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