Auto elettrica un bluff che zavorra le case costruttrici a costo dei contribuenti

Le vendite ridotte costringono le case a rivedere i piani d’investimento e a rilanciare sui motori termici. Situazione di stallo da cui non è possibile uscire se non cambiando le regole Ue.

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L’auto elettrica è nuda, si potrebbe dire, perché è venuto a galla il bluff politico con cui la Commissione europea ha voluto demagogicamente imporre una strategia industriale infondata accompagnandola da una serie di divieti e di limiti che ha mandato tutto il sistema produttivo industriale connesso e correlato in un gigantesco cul de sac da cui non è possibile uscire se non a costo di sostanziali abiure, politicamente indigeste per chi le ha fomentate, abiure che sono sempre più necessarie se non si vuole condannare l’economia e lo stato sociale europeo ad un pericoloso declino.

L’auto elettrica non si vende come nelle aspettative dei politicanti che l’hanno imposta e dei vertici delle case costruttrici che l’hanno accettata senza un minimo fiato di opposizione – tramortiti com’erano dallo scandalo delle emissioni truccate del “Dieselgate” sgamato dall’Epa americana nel totale silenzio degli organismi di controllo europeo – salvo accorgersi tardi del boomerang che hanno lanciato.

Per finanziare gli investimenti necessari all’elettrificazione, le case costruttrici hanno rivisto tutte al rialzo il listino dei modelli in vendita, a partire da quelli tradizionali, praticamente cancellando di fatto – salvo alcune eccezioni – le utilitarie fino a 20.000 euro di costo dove avevano margini limitati, per portare l’attacco medio dei listini attorno ai 25-30.000 euro. Una scelta che, da un lato, ha ridotto le vendite accompagnate da una pari riduzione della produzione che ha eliminato la sovraproduzione strutturale che veniva smaltita attraverso il canale dei “km 0” o delle vendite a stock agli autonoleggi, ma senza intaccare i fatturati che sono paradossalmente aumentati.

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Nonostante questa manovra sui listini, le differenze di prezzo tra l’auto con motore termico e quella elettrica non si sono avvicinate, nemmeno con il massiccio contributo di incentivi pubblici. E a pesare sul mancato decollo dell’auto elettrica c’è pure la sua forte svalutazione sul mercato dell’usato – tanto da avere indotto alcune flotte di autonoleggio ad una vendita anticipata per limitare le perdite -, i maggiori costi di ripristino in caso di incidente – spesso anche per un semplice tamponamento è necessario sostituire la batteria con una spesa esorbitante, talvolta pure superiore al valore commerciale dell’auto -, ai maggiori costi di assicurazione e, non ultimo, ai maggiori costi reali di uso, visto che la ricarica della batteria presso i punti ad alta potenza fa esplodere la convenienza rispetto ai modelli termici, specie se Diesel, oltre alla rigidità d’impiego per coloro che utilizzano il veicolo su lunghe tratte per i lunghi tempi necessari per fare il pieno elettrico.

Di fatto, dall’auto elettrica l’unico che ci ha sostanzialmente guadagnato, nonostante il calo di vendite, è la Tesla di Elon Musk, non tanto per i margini conseguiti per la vendita del prodotto, ma per la vendita dei cosiddetticrediti verdi” che Tesla, avendo una gamma di prodotto totalmente elettrica, sforna a palate. Lo stesso non vale per quei costruttori ancora con gran parte di prodotto basato sui propulsori termici, che per un ukaze europeo non devono superare la media di 95 grammi di anidride carbonica al chilometro a livello di gamma complessiva di prodotto, pena il pagamento di salate multe alla Commissione europea. Di qui la necessità per le case produttrici di auto a benzina o Diesel che non vendono un adeguato volume di auto elettriche di acquistarecrediti verdi” per evitare di pagare multe ben più onerose.

Ma oltre a questo c’è un paradosso ancora più clamoroso: per cercare di vendere auto elettriche per abbassare la media delle emissioni della loro gamma di prodotto e per ridurre l’entità delle multe, le case costruttrici chiedono a gran voce ai governi incentivi per vendere auto elettriche che i consumatori non vogliono acquistare – e anche coloro che l’hanno acquistata, sempre che non sia la seconda o terz’auto di famiglia, corrono a venderla dopo l’esperienza d’uso negativa -, obbligando gli stati – e i contribuenti – ad un ulterbiore sforzo per drogare il mercato, quando sarebbe più lineare e onesto ammettere l’b strategico di fondo e tornare al punto di partenza, ammettendo che l’auto con motore a benzina o Diesel non è quel Belzebù dipinto da ecologisti digiuni di scienza e di tecnologia, visto che tutto il parco circolante europeo è responsabile di appena l’1% delle emissioni totali dell’Unione europea, già di suo ridotte al 7% di quelle globali.

In questi numeri sta tutto il fallimento delle politiche del “Green Dealfortissimamente voluto dall’ex vicepresidente socialista Frans Timmermans con l’acquiescenza della popolare Ursula von del Leyen, con quest’ultima che scioccamente, pur di incassare il voto strategico dei Verdi per la sua rielezione, ha confermato provvedimenti fallati che porteranno interi settori dell’economia europea alla chiusura e con essi milioni di posti di lavoro, le cui avvisaglie si toccano già con mano nella culla dell’ecologismo applicato, quella Germania che per la seconda volta in pochi mesi è finita in recessione.

 

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