Realizzare sulla Terra la reazione di energia che avviene nelle stelle con la fusione nucleare. È quel che avverrà ma non presto, i tempi per gli scienziati sono “a lungo termine” secondo lo scenario prospettato da Alain Becoulet, il fisico francese a capo del progetto Iter, il più grande esperimento al mondo sulla fusione nucleare, nato dalla cooperazione tra Cina, India, Ue, Giappone, Corea, Russia e Usa per progettare il reattore a fusione a confinamento magnetico più avanzato al mondo, in costruzione nel sud della Francia.
Becoulet è intervenuto a un simposio su clima ed energia al Centro di fisica teorica “Abdus Salam” di Trieste, nell’ambito delle celebrazioni per i 60 anni dalla fondazione. «L’obiettivo di Iter è confinare un plasma stabile e produrre un’energia dieci volte maggiore rispetto a quella per attivarlo e mantenerlo».
Una meta per la quale Becoulet ha tracciato alcune tappe: «tra 10 anni avremo il plasma da 500 megawatt, nel 2035 cominceranno i test con plasma nucleare; nel 2050 un prototipo di reattore connesso alla rete. Non c’è fretta, d’altronde, stiamo aprendo una strada che non era mai stata percorsa prima».
Alla fusione nucleare «gli scienziati lavorano da 60 anni e ora finalmente la fusione sta uscendo dai laboratori di fisica» ha detto Becoulet riferendosi agli investimenti privati in merito. Iter stesso non è più tanto giovane: «è nato nel 1985, quando Reagan e Gorbaciov avviarono progetti congiunti di grande impatto per l’umanità» e tra questi un’unione per creare un reattore sperimentale per la fusione nucleare, Iter».
Una nuova tecnologia i cui problemi tecnici sono complicati: «Iter punta a catturare, controllare e mantenere una piccola “stella” in una scatola, ovvero creare e contenere tramite un campo magnetico intenso un plasma a temperature di 150 milioni di gradi». Servono magneti superconduttori a bassa temperatura, raffreddati a -269°C; Iter ne utilizza per 10.000 tonnellate per generare un campo magnetico, in maggioranza di produzione dell’italiana Malacalza.
Iter sarà inoltre il risultato di migliaia di componenti prodotte in tutto il mondo e spedite in Francia dove si assemblano. Un progetto che costa tra 20 e 25 miliardi di euro, ma che risolverebbe ogni fabbisogno di energia e non solo: Stefano Monti, presidente della European Nuclear Society, allo stesso simposio di Trieste ha sottolineato come «il ruolo chiave che l’energia nucleare può avere nella riduzione degli effetti del cambiamento climatico». Un ruolo essenziale «se usato in modo complementare alle fonti rinnovabili, come i sofisticati “Smr” (small modular reactors) di nuova generazione permettono di fare».
Reattori a fissione che nel campo dell’energia nucleare cambiano i paradigmi, visto che si passa da impianti di grande taglia attorno ai 1.000 MW di potenza, con notevoli problemi di impatto ambientale derivanti dalla necessità di ingenti quantità di acqua per il raffreddamento o di alterazioni climatiche si si utilizzano le torri di raffreddamento in atmosfera – ai reattori di taglia ridotta attorno al 150-200 MW di potenza, magari prodotti in catena di montaggio in moduli preassemblati facilmente trasportabili che potrebbero avere una migliore efficienza energetica complessiva mediante l’utilizzo del calore – altrimenti sprecato – per alimentare processi produttivi o reti di teleriscaldamento domestico.
E anche per la fusione nucleare potrebbe valere lo stesso concetto, anche se con Iter si stanno ripetendo le stesse basi delle centrali a fissione con i mega impianti. Un’alternativa concreta potrebbero essere le tecnologie in via di sviluppo con impianti di taglia di potenza – e di dimensioni – decisamente più contenuti in Inghilterra e negli Usa.
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