Ripristino della natura: il regolamento portante del “Green Deal” è operativo

Continua l’opposizione del mondo agricolo verso una norma ideologia che rischia di penalizzare la produzione alimentare e aumentare le importazioni europee da paesi terzi.

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Ripristino della natura

Dal 18 agosto è operativo il regolamento europeo sul ripristino della natura, una delle gambe portanti del fantomatico pianoGreen Deal” fortissimamente voluto dall’accoppiata Frans Timmermans & Ursula von der Leyen e riconfermato alla rielezione alla guida della Commissione della presidente uscente attraverso il più classico voto di scambio con i Verdi, risultati indispensabili per il suo mandato bis.

Il regolamento sul ripristino della natura è una riforma controversa, sbloccata dopo mesi di stallo politico e ancora sette tra i 27 paesi dell’Ue contrari al voto finale (Italia inclusa). Tutt’ora il regolamento è contestato dalle organizzazioni agricole, per quanto annacquato nella stesura finale.

Si tratta comunque di una riforma che per la prima volta non solo prevede la protezione delle aree naturali, ma punta a “ripristinare” quelle già degradate, con una tabella di marcia in tre tappe forzate: il 30% di ogni ecosistema dovrà essere oggetto di misure di ripristino entro il 2030, il 60% entro il 2040 e il 90% entro il 2050. La normativa allineerà inoltre l’Ue agli impegni internazionali di Kunming-Montreal.

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La proposta della Commissione europea di due anni fa proponeva di destinare il 10% dei terreni agricoli a interventi per la biodiversità come la coltivazione di siepi, alberi, fossi, muretti o piccoli stagni: una linea guida, ma che nel testo approvato alla fine non c’è. Le aperture alle proteste degli agricoltori hanno persino fatto allentare il requisito della Pac di destinare il 4% dei terreni a caratteristiche non produttive, rendendola volontaria. Nel Ripristino della natura è diventato volontario anche il ripristino delle zone umide per gli agricoltori e i proprietari terrieri privati (gli Stati dovranno renderlo attraente da un punto di vista finanziario).

Gli obblighi – per gli Stati e non per i singoli agricoltori – riguardano il miglioramento generale della biodiversità, misurata da tre fattori come la presenza delle farfalle delle praterie, il quantitativo di carbonio organico nei suoli coltivati o la quota di terreni agricoli con caratteristiche paesaggistiche “ad alta diversità”. Sono previste anche sospensioni nel caso di crisi.

Al cuore degli impegni dei singoli Paesi ci saranno i piani di ripristino nazionali che ora dovranno venir presentati alla Commissione europea entro due anni. Inizialmente come bozza, da finalizzare e pubblicare poi nell’arco di sei mesi dall’arrivo di eventuali osservazioni dell’esecutivo Ue.

I piani conterranno le misure previste rispetto alle tappe fondamentali del 2030, 2040 e 2050, per soddisfare gli obblighi e raggiungere gli obiettivi del regolamento adattati al contesto nazionale, includendo tempistiche, indicazioni sulle risorse finanziarie e benefici attesi, in particolare per l’adattamento e la mitigazione dei cambiamenti climatici.

L’Agenzia europea dell’ambiente redigerà poi relazioni tecniche periodiche sui progressi verso gli obiettivi. Gli Stati dovranno adottare misure di ripristino in almeno il 20% delle aree terrestri Ue e nel 20% delle sue aree marine entro il 2030. Entro il 2050, tali misure dovrebbero essere in atto per tutti gli ecosistemi che necessitano di ripristino.

L’obiettivo è ripristinare entro il 2030 almeno 25.000 km di fiumi a flusso libero, invertire il declino delle popolazioni di insetti impollinatori e migliorarne la diversità, oltre a migliorare la biodiversità negli ecosistemi agricoli e forestali, contribuendo all’impegno di piantare almeno tre miliardi di alberi aggiuntivi entro il 2030 a livello Ue.

 

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