L’Italia rischia di rimanere vittima del proprio successo turistico internazionale, con la crescita marcata delle presenze in molte località che finiscono con l’essere controproducenti per la pressione negativa che generano sulla vivibilità e sui servizi utilizzati dai residenti, tanto che secondo una ricerca Jfc il 49% degli italiani sarebbe favorevole a misure di controllo e di contingentamento delle presenze per evitare l’eccesso di turismo o “overturism”.
Il successo internazionale della destinazione Italia spesso si trasforma in lunghe file, caos, salti mortali per scovare parcheggi o guadagnare un tavolo al ristorante o anche solo una toilette: l’affluenza eccezionale di turisti finisce spesso con il saturare le capacità fisiche, ecologiche e sociali che il territorio e i residenti sono in grado di sostenere.
Se il 49% degli italiani è d’accordo con l’introduzione di misure che limitino e/o controllino i flussi turistici nelle destinazioni, per la ricerca Jfc il 38,4%, invece, si dice contrario e si oppone a tali interventi; c’è poi una quota del 12,3% che segnala queste come misure «non in grado di produrre benefici reali». È interessante però comprendere le valutazioni in merito all’eccesso di turismo: un italiano su cinque (21,5%) considera «non corrette» le limitazioni agli ingressi nelle destinazioni turistiche, in quanto «si tratta di luoghi pubblici»; il 19,2% afferma che tali misure sono «ideali per la sostenibilità dei residenti», come pure un’ulteriore quota del 17,2% si dichiara anch’essa favorevole in quanto ritiene che la limitazione agli ingressi sia una politica «corretta per non far entrare troppa gente».
C’è poi una quota del 16,9% che si dichiara contraria e che ritiene tali misure «non utili perché limitano la libertà delle persone». A seguire, il 12,9% che considera tali limitazioni «giuste per far stare meglio i turisti presenti», mentre infine per una restante quota del 12,3% l’introduzione di tali misure «non porta ad alcun cambiamento».
Quando sono poi gli italiani a viaggiare, il 68,2% si lascia condizionare dall’obolo di ingresso nel momento in cui pensa di fare una visita, ad esempio, a Venezia. «Alcune amministrazioni comunali, più che pianificare precise strategie di “destination management” per una corretta gestione dei flussi turistici, – spiega Massimo Feruzzi, amministratore delegato di Jfc e responsabile della ricerca – hanno deciso di provare a porre un limite al sovraffollamento nella maniera più semplice e anche più remunerativa, che è quella di innalzare il più possibile l’imposta di soggiorno o quella di sbarco, soprattutto nei periodi di alta stagione. Formula, questa, che si è rilevata essere sì funzionale ad aumentare le entrate comunali, ma assolutamente inefficace per arginare gli arrivi».
Oltre all’incremento di tali imposte, si introducono limitazioni al numero degli ospiti, si fanno pagare ingressi, si limitano gli orari di accesso alle eccellenze turistiche o si prova a ridurre la mobilità in entrata. «Succede così – dice Feruzzi – che da giugno sino a tutto ottobre sui 60 km della Statale 163 Amalfitana, dalle ore 10 alle ore 18, è possibile circolare solo a targhe alterne, mentre ad Amalfi è fatto divieto ai pullman di parcheggiare ed alle Cinque Terre si alza il prezzo del biglietto del treno che collega le località. Perché, è utile ricordarlo, la sostenibilità della destinazione è sì essenziale, ma occorre anche tenere a mente che l’articolo 18 della Costituzione sulla libera circolazione sul territorio nazionale e anche il Codice Mondiale di Etica del Turismo, approvato dall’Unwto».
La ricerca sull’eccesso di turismo si focalizza sul caso italiano più eclatante, Venezia, e sull’introduzione del biglietto di ingresso per combattere l’eccesso di turismo in alcuni periodi dell’anno che ha debuttato lo scorso 25 aprile. Per 1 italiano su 4, l’introduzione del contributo di accesso incide fortemente sulla scelta di fare o meno una visita, ma è altresì molto alta la quota di coloro che attribuiscono a tale costo da sostenere un’incidenza alta e b arrivando a un totale del 68,2% che valuta negativamente questa misura, in quanto incide sulla loro scelta di visitare la città.
Ma a fare virare in negativo il “sentiment” dei residenti sul turismo, c’è anche la concorrenza che questo esercita in alcuni ambiti che incide direttamente anche sulla vita delle persone che abitano un luogo, a partire dalla continua perdita di abitazioni per la residenza stabile a favore delle locazioni turistiche brevi. Il fenomeno assicura sì maggiore redditività dell’immobile in capo ai proprietari rispetto alla semplice residenza, ma mette le persone in forti difficoltà a trovare un’abitazione a prezzi compatibili con la propria capacità di spesa, creando una sgradevole concorrenza tra lavoratori, studenti fuori sede e turisti.
C’è poi la questione dei costi indiretti del turismo sul territorio, che solo in modo parziale vengono coperti dalla tassa sul turismo, recentemente allargata dai soli capoluoghi e comuni turistici a tutti i comuni del Belpaese e con un importo portato fino a 25 euro a notte per i soggiorni in strutture di lusso. Se si va a conteggiare il costo che la pressione turistica genera sulle strutture di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e fognari, i parcheggi e il costo della vita il bilancio difficilmente va in pareggio e il territorio deve sopportare costi indotti per favorire il guadagno degli operatori del settore, che spesso non sono troppo attenti ai loro obblighi tributari.
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