In Italia parlare di concorrenza spesso significa causare almeno un eritema se non un corposo giramento degli attributi perché il Paese è sostanzialmente allergico ai principi del libero mercato e spesso, troppo spesso, ci si comporta come se si fosse ancora all’epoca delle corporazioni: e anche la legge sulla concorrenza appena approvata dal governo Meloni non fa eccezione.
Dal 2009, una legge imporrebbe al governo di turno di presentare ogni anno una legge sulla concorrenza, salvo il fatto che in 14 anni di vigenza del provvedimento di leggi sulla concorrenza ne siano state approvate solo 3, compresa quella del 2024, che di fatto è una scatola vuota, priva di tutti quei provvedimenti che sarebbero utili per affrontare e risolvere problemi che assillano cittadini ed imprese, a partire dalla gestione dei taxi e dei balneari, provvedimenti che rischiano di fare scattare l’ennesima procedura di sanzione europea – con le relative multe – a carico del Belpaese. Ma lo stesso si potrebbe dire per la regolamentazione dei principali mercati energetici, a partire da quello elettrico, dove gli operatori privati fanno a gara per fare cartello tra loro, come ha dimostrato la stessa gara gestita da Arera per i clienti del mercato tutelato passati alle tutele graduali che goderanno di un consistente sconto rispetto alle tariffe del libero mercato.
La politica tutta, che sia di destra o di sinistra passando per le praterie del centro, sono accumunate da una sostanziale allergia alla concorrenza, nonostante che questa possa assicurare vantaggi all’economia nazionale in termini di prodotti e di servizi di migliore qualità al minore costo. E questo è dimostrato dal fatto che in 14 anni i governi e le maggioranze di tutti i colori abbiano approvato solo 3 leggi sulla concorrenza.
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Di fatto, quella appena approvata è una legge sulla concorrenza alla stregua di una scatola vuota, buona solo per tenere fede ad uno degli impegni contenuti nel Pnrr per l’erogazione delle prossime rate del prestito comunitario da 197 miliardi. Dentro c’è ben poco in termini concreti: qualche proroga come quella sul mantenimento dei dehors sugli spazi pubblici dinanzi ai locali, diffusisi come funghi durante la pandemia senza alcuna logica e, soprattutto, senza alcun rispetto minimale del decoro urbano, qualche aggiustamento sulle gare per l’assegnazione delle piazzole per il commercio ambulante dopo gli strali del Quirinale, o la portabilità delle scatole nere per l’assicurazione RC auto, altro settore dove la concorrenza fatica a fare sentire i suoi effetti sul prezzo delle polizze.
A dare un po’ di spessore alla legge sulla concorrenza 2024 la parte sulle autostrade con subappalti più disciplinati e maggiori controlli sulla manutenzione, la limitazione a 15 anni delle concessioni da rinnovare, dove dei 26 rapporti concessori per 6.077,1 chilometri in essere, 17 scadranno nei prossimi cinque anni. Ma sorvolando sul fatto che la clamorosa concessione dell’Autostrada del Brennero, scaduta da ben 6 anni e prorogata di anno in anno, posseduta in maggioranza dagli enti territoriali del Trentino Alto Adige, sta brigando per avere un rinnovo di ben 50 anni con il sistema della finanza di progetto, espressamente escluso dalla riforma. Insomma, una sorta del gioco delle tre carte, quando sarebbe sufficiente un po’ di coraggio politico e trasferire la concessione scaduta di A22 – assieme a quelle che lo saranno nei prossimi anni – ad una società interamente pubblica – già costituita allo scopo, ma che rischia di rimanere anch’essa una scala vuota – che gestisca finalmente la rete autostradale in termini di servizio efficiente ai cittadini e alle imprese e non con una logica feudataria di esclusivo lucro privato come è accaduto con la gestione di Autostrade per l’Italia da parte della famiglia Benetton, culminata con il crollo del ponte Morandi a Genova.
Certo, nella legge sulla concorrenza 2024 c’è il fondamentale provvedimento di evidenziare chiaramente al consumatore l’eventuale riduzione del contenuto della confezione rispetto alla stabilità del prezzo per lucrare sottobanco qualche aumento senza fare scattare l’inflazione, e pazienza se i consumatori invece di 250 grammi di formaggio o di salame o di un litro di qualche bevanda ne acquistano qualche grammo o decilitro in meno.
Di fatto la politica – di qualsiasi parte e colore – è ostaggio di un paese di fatto ancora diviso in corporazioni, ciascuna gelosa del proprio status quo e ciascuna sempre molto attiva nel ricordare al politico o al ministro di turno il suo peso elettorale. E pazienza pure del fatto che, negli anni, l’Italia delle corporazioni sindacali ed imprenditoriali abbia generato un articolato sistema di esenzioni e di privilegi fiscali che si basano su ben 625 diverse voci per un costo stimato di circa 105 miliardi di mancato gettito annuo, tanto che per ben 118 voci non si conoscono, almeno ufficialmente, il relativo importo.
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