Il caro tariffe costa alle famiglie 2.900 euro l’anno in più

Secondo l’indagine della Cgia, rispetto a prima della pandemia le bollette dell’energia elettrica sono raddoppiate. Penalizzati chi svolge un’attività imprenditoriale o professionale pagando due bollette.

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Il caro tariffe costa caro alle famiglie e alle piccole imprese e professionisti: tra il 2019 e il 2023 le bollette dell’energia elettrica sono rincarate del 108% e quelle del gas del 72,1%, mentre rincari minori si sono verificati per l’acqua del 13,2%, i servizi postali del 8,6%, il trasporto urbano del 6,3%, quello ferroviario del 4,5%, i taxi del 3,9%, per chiudere con la tariffa per lo smaltimento dei rifiuti (+3,5%) e i pedaggi autostradali (+3,3%).

A fronte di un aumento del caro vita del 16,3% nello stesso periodo, alcune tariffe sono andate decisamente oltre, mentre altre sono calate in termini reali. L’unica voce ad aver registrato una contrazione di costo sono stati i servizi telefonici che nel quadriennio analizzato è stata pari allo 0,8%, anche grazie ad una concorrenza decisamente agguerrita che manca in altri settori.

In valore assoluto, le tariffe monitorate in questo studio della Cgia di Mestre hanno un costo medio per le famiglie italiane pari a poco più di 2.900 euro all’anno, un importo che corrisponde al 12% dell’intera spesa familiare annua.

Nell’ultimo anno, invece, la situazione del caro tariffe si è capovolta. Tra il primo semestre 2024 e lo stesso periodo del 2023 il costo delle bollette della luce (-34,2%) e del gas (-19,6%) è “precipitato”, mentre quasi tutte le altre tariffe hanno registrato un deciso aumento, soprattutto se confrontato con l’andamento dell’inflazione che nel primo semestre del 2024 è salito solo dello 0,9%. Il trasporto ferroviario è cresciuto del 7,5%, le bollette dell’acqua del +7%, i servizi postali del +4,9%, il trasporto urbano del +4,3%, i taxi del +2,6%, i rifiuti del +1,7%, i pedaggi e i parchimetri del +2,1% e i servizi telefonici del +0,5%.

A fronte della crisi energetica verificatasi in particolare tra la fine del 2021 e la prima parte del 2023, si stima che il rincaro dei prezzi delle materie prime abbia consentito alle maggiori società di questo settore operative in Italia di totalizzare 70 miliardi di euro di extraprofitti che, in massima parte, sono stati “prelevati” dai portafogli delle famiglie e delle imprese e, parzialmente, tradottisi in lautissime remunerazioni dei vertici delle stesse società.

Con una finalità strettamente redistributiva, nel 2022 il Governo Draghi ha introdotto un prelievo straordinario su sui grandi operatori dell’energia che, in termini di cassa, ha garantito un gettito di 2,76 miliardi nel 2022 ridottosi a soli 82 milioni di euro nel 2023. Complessivamente, la misura voluta dall’allora premier Draghi ha portato nelle casse pubbliche 2,84 miliardi di euro, a fronte, però, di 10,8 miliardi previsti. Per contro, il contributo di solidarietà a carico delle grandi imprese energetiche approvato dal Governo Meloni dopo qualche mese dal suo insediamento, nel 2023 ha consentito all’erario di incassare 3,4 miliardi di euro; quasi un miliardo in più dei 2,6 preventivati inizialmente.

Dai due provvedimenti sugli extraprofitti delle società energetiche, le previsioni riportate nelle schede tecniche segnalano che lo Stato avrebbe dovuto incassare dalla tassazione sugli extraprofitti 13,6 miliardi di euro. In realtà ne ha riscossi solo 6,2, meno della metà di quanto stimato inizialmente. Se il provvedimento messo in campo dal Governo Meloni ha raggiunto l’obiettivo, incassando quasi un miliardo in più, la misura approvata dal Governo Draghi, invece, è stata un mezzo flop. Dei 10,8 miliardi attesi ne sono stati incassati solo 2,8. Non solo. A seguito del ricorso presentato da alcune grandi aziende del settore energetico, nel mese scorso la Corte Costituzionale ha parzialmente bocciato il provvedimento, ritenendo illegittima l’inclusione delle accise nella base di calcolo dell’imposta straordinaria sugli extraprofitti. Pertanto, stando alle prime stime, lo Stato dovrà restituire alle aziende pagatrici almeno 150 milioni di euro.

Gli aumenti delle bollette energetiche hanno particolarmente penalizzato i piccoli lavoratori autonomi e professionisti, visto che il 70% circa degli artigiani e dei commercianti lavora da solo, ovvero non ha né dipendenti collaboratori familiari, moltissimi artigiani, tantissimi piccoli commercianti e altrettante partite Iva hanno pagato due volte l’impennata delle bollette di luce e gas verificatasi negli ultimi anni. La prima come utenti domestici e la seconda come micro imprenditori per riscaldare/raffrescare e illuminare le proprie botteghe e negozi.

Se le grandi imprese, in questo caso del settore energetico, ancora una volta grazie a una serie di escamotage sono “riuscite” a pagare molto meno di quanto lo Stato aveva previsto, i piccoli, invece, hanno subito una vera e propria stangata. E’ l’ennesima dimostrazione che l’Italia è un Paese che, per molti versi, funziona al contrario.

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