Concessioni balneari, la Corte Ue dà ragione al Demanio

«Legittimo l’esproprio senza indennizzo». L'ira delle associazioni degli operatori di spiaggia.

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Nelle more di una politica italiana fellona e incapace di applicare le norme a vantaggio di tutti i cittadinicontribuenti e non solo a favore di poche e ben determinate lobbies che dall’utilizzo privatistico di un bene pubblico hanno tratto lucrosi guadagni per decenni a fronte di canoni irrisori, la Corte di giustizia europea interviene nuovamente sulle concessioni balneari con una sentenza che dà ragione al Demanio sugli espropri senza indennizzo – a scadenza di contratto – delle strutture inamovibili realizzate dai concessionari sui beni pubblici quali sono le spiagge italiane.

Il verdetto ha fatto scatenare l’ira della categoria che – per bocca de “La Base Balneare” con “Donnedamare” e “Assobalneari” – ha espresso «sconcerto e preoccupazione» davanti alla prospettiva di «perdere investimenti» messi in campo a proprie spese. E reclama a gran voce un vero e proprio «patto concessorio».

Chiamati a pronunciarsi dal Consiglio di Stato, i giudici di Lussemburgo sono intervenuti su un contezioso partito dal litorale toscano di Rosignano Marittimo dove la Società italiana imprese balneari (Siib), al termine della concessione, si è vista acquisire dallo Stato a titolo gratuito diverse opere non amovibili costruite nel suo stabilimento.

Tutto come previsto dal Codice di navigazione italiano (all’articolo 49), che – evidenziano i giudici di Lussemburgo – si applica «a tutti gli operatori» in Italia e per questo «non costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento». Perché tutti, viene spiegato, «si trovano ad affrontare la medesima preoccupazione» per ottenere una concessione «sapendo che, alla sua scadenza, le opere non amovibili costruite saranno acquisite al Demanio pubblico». Un’appropriazione senza indennizzo che, nella visione della Corte di giustizia Ue, «costituisce l’essenza stessa dell’inalienabilità del Demanio pubblico». E che si declina nel principio che sancisce il «carattere precario» delle occupazioni, a «durata limitata» e «revocabili». Per questo la Siib non poteva, nel giudizio dei togati, non sapere.

La spiegazione, arrivata in via direttissima a Roma da Lussemburgo, ha irritato il settore, tra chi – come il Sindacato italiano balneari aderente a Fipe/Confcommercio – si riserva una «valutazione attenta», e chi – come Federbalneari – si dice «perplessa e certamente contraria al depauperamento del patrimonio delle nostre imprese del mare».

Nonostante la sentenza si riferisca «solo ed esclusivamente alle strutture non amovibili delle concessioni» mentre «la questione dell’indennizzo del valore aziendale è molto più complessa» e ampia, ha precisato la Fiba, tutte le sigle dei balneari sollecitano ora interventi legislativi capaci di abrogare «l’anacronistico» articolo 49 del Codice di navigazione italiano e prevedere «naturali» indennizzi a fine contratto.

Mentre la maggioranza di centro destra – soprattutto Lega Salvini e Forza Italia – si mobilitano per tenere fede a promesse elettorali indifendibili e che vanno contro gli interessi della collettività a vedere equamente valorizzato un bene pubblico come le spiagge per decenni sfruttato privatisticamente in cambio di quattro denari di canone di concessione – con lo Stato che si è dimostrato un cattivo padre della grande famiglia Italia – sarebbe finalmente giusto e doveroso voltare pagina e partire daccapo, con l’azzeramento di tutte le concessioni in essere e la loro messa a gara su basi economiche adeguate per il valore del bene pubblico da sfruttare.

Chi s’ostina a mantenere per le concessioni balneari la situazione attuale per meri interessi di consenso politico clientelare non rende un buon servizio alla Nazione, oltretutto rischiando di fare incappare l’Italia nell’ennesima procedura di sanzione con relativa multa.

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