Pagamenti ai fornitori della pubblica amministrazione in ritardo, specie al Sud

Molte realtà del Nord e Centro Italia pagano anche in anticipo sui 30-60 giorni di legge. Problemi di liquidità per molte Pmi per i pagamenti in ritardo.

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I pagamenti ai fornitori della pubblica amministrazione continuano a marciare in ritardo soprattutto nelle realtà del Sud Italia, esponendo specie le Pmi a problemi non indifferenti di liquidità se i pagamenti tardano di molto.

Tra acquisti, consumi, forniture, manutenzioni, formazione del personale e spese energetiche, nel 2023 lo Stato italiano ha sostenuto un costo complessivo di 122 miliardi di euro, ma ancora una volta non è riuscito a onorare tutti gli impegni economici presi con i propri fornitori. I debiti commerciali della pubblica amministrazione continuano ad ammontare a circa 50 miliardi di euro, un importo che è praticamente lo stesso da almeno 5 anni. I più penalizzati da questo comportamento così deplorevole sono le piccole imprese, denuncia l’Ufficio studi della Cgia di Mestre.

Come ha sottolineato anche la Corte dei Conti in una delle sue ultime relazioni, nelle transazioni commerciali con le aziende private la pubblica amministrazione sta adottando una prassi che definire “diabolica” è forse riduttivo; salda le fatture di importo maggiore entro i termini di legge, mantenendo così l’Indicatore di Tempestività dei Pagamenti (ITP) entro i limiti previsti dalla norma, ma ritarda intenzionalmente il saldo di quelle con importi minori, penalizzando, così, le imprese fornitrici di prestazioni di beni e servizi con volumi bassi; cioè le piccole imprese, quelle che spesso hanno pure difficoltà a finanziarsi sul mercato del credito, frequentemente a condizioni peggiori rispetto a quelle riservate ai grandi clienti.

Non solo. Da qualche tempo nei pagamenti ai fornitori si è consolidata una nuova praticaimposta” da molti dirigenti pubblici, anche di società collegate alle regioni e agli enti locali, che decidono unilateralmente quando i fornitori devono emettere la fattura. Se questi ultimi non si “attengono” a questa disposizione, lavorare in futuro per questo ente/società sarà difficile. Dando l’autorizzazione all’emissione della fattura solo quando l’amministrazione dispone dei soldi per liquidarla, queste strutture pubbliche riescono a “rispettare” i tempi di pagamento, “aggirando” così le disposizioni previste dalla legge. Una forma di abuso della posizione dominante che risulta essere decisamenteripugnante”, su di cui il governo Meloni dovrebbe intervenire con energia.

Tra le pubblica amministrazione più “lumaca” a pagare i propri fornitori si confermano i comuni, in particolar modo quelli del Mezzogiorno. Al Centronord, invece, il quadro generale è in massima parte positivo. Per quanto concerne le amministrazioni regionali, invece, al netto di Molise (+145,9), Abruzzo (+32) e Basilicata (+13,66), le altre realtà amministrative registrano delle performance più che buone, soprattutto al Centronord.

Negli anni scorsi a pagare con grave ritardo erano anche le Aziende ospedaliere, in particolare del Sud. Nel 2023 il quadro generale è migliorato moltissimo, almeno osservando il risultato relativo all’ITP.

Anche le amministrazioni dei ministeri faticano a rispettare le disposizioni previste dalla legge in materia di tempi di pagamento riferiti alle transazioni commerciali. Nel 2023 nove ministeri su 15 (vale a dire il 60% del totale) hanno liquidato i propri fornitori in ritardo rispetto alle scadenze contrattuali. Maglia nera il ministero del Turismo con un ritardo di 39,72 giorni. Seguono l’Interno con +33,52, l’Università e la Ricerca con +32,89 e la Salute con +13,60. Il più virtuoso, invece, è stato il ministero dell’Agricoltura, Sovranità alimentare e Foreste che ha pagato con un anticipo di 17 giorni.

Il mancato rispetto dei tempi di pagamenti ai fornitori fissati da una direttiva comunitaria ha esposto l’Italia alle conseguenze delle sanzioni di Bruxelles. Con la sentenza pubblicata il 28 gennaio 2020, la Corte di Giustizia Europea ha affermato che l’Italia ha violato l’art. 4 della direttiva UE 2011/7 sui tempi di pagamento nelle transazioni commerciali tra amministrazioni pubbliche e imprese private.

Il 9 giugno 2021, la Commissione Europea ha avviato nei confronti dell’Italia una nuova procedura di infrazione, sempre per la violazione della direttiva sopra citata, in relazione al noleggio di apparecchiature per le intercettazioni telefoniche e ambientali nel quadro delle indagini penali.

Il 29 settembre 2022, la Commissione ha aggravato la procedura di infrazione nei confronti dell’Italia e, infine, ad aprile 2023, in relazione a una presunta violazione della Direttiva sui pagamenti a carico del sistema sanitario della regione Calabria, ci ha fatto pervenire una lettera di messa in mora.

Secondo la Cgia per uscire da un sistema nefasto e farraginoso la soluzione sarebbe a portata di mano: prevedere per legge la compensazione secca, diretta e universale tra i crediti certi liquidi ed esigibili maturati da una impresa nei confronti della pubblica amministrazione e i debiti fiscali e contributivi che la stessa deve onorare all’erario. Grazie a questo automatismo si risolverebbe un problema che si trascina da decenni che continua a minare la tenuta finanziaria di moltissime micro e piccole imprese.

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