Autonomia: Veneto, Lombardia e Piemonte pronte, mentre l’Emilia Romagna ci ripensa

La spada di Damocle dei Lep e del relativo finanziamento che sarà difficile da coprire.

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Autonomia

Veneto e Lombardia sono pronte per l’autonomia anche se sono passati sei anni e otto mesi da quel 22 ottobre del 2017, quando i Lombardi e Veneti dissero “sì” all’autonomia nel referendum autogestito.

il Veneto aveva tentato per ben 3 volte di fare un referendum. Le prime due volte, il tentativo è fallito. La terza volta, giugno 2014, viene presentata una legge referendaria che viene impugnata dal governo Renzi, con il Veneto che si appella alla Corte costituzionale che gli dà ragione, innescando la svolta che ha portato al referendum nelle b.

Dopo l’approvazione alla Camera, ora si attende solo i tempi della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, dopo di che il Veneto e Lombardia sono già pronte a chiedere al Governo l’avvio del negoziato per l’autonomia. Non per tutte le 23 materie previste dalla Costituzione e dalla nuova legge quadro, ma per le 9 che non dovranno fare i conti con la fissazione dei Lep (livelli essenziali di prestazione), dai giudici di pace alla protezione civile, dalle professioni alla previdenza integrativa.

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Luca Zaia vuol restare il portabandiera nella trattativa delle Regioni per avere maggiori forme di autonomia assieme a Lombardia ed l’Emilia Romagna, partendo dalle preintese già firmate con il governo Gentiloni, anche se l’Emilia Romagna sembra propensa a rinunciare. Un’altra regione a guida centro destra, il Piemonte del riconfermato Alberto Cirio, che ha annunciato che chiederà l’autonomia su tutte le materie previste dalla legge; con una integrazione rispetto alla richiesta del predecessore, il Dem Sergio Chiamparino, che ne aveva chieste 13 su 23.

Anche la Lombardia, dopo il via libera alla Camera, vuole stringere i tempi: Attilio Fontana punta soprattutto sulla sanità e l’ambiente, convinto che la Regione più performante del Nord «riuscirà ad andare ancora più veloce, ed essere ancora più competitiva nei confronti dei competitor mondiali. Sulle materie di nostra competenza – ha detto Fontanaavremo la possibilità di creare procedure più rapide ed efficienti che ci chiedono continuamente i nostri imprenditori e lavoratori».

La strada, per tutti, anche per le Regioni che nel frattempo si dovessero aggiungere al negoziato, non è breve. Referendum abrogativo delle opposizioni a parte, su cui pare indulgere anche quella Elly Schlein che, da vicepresidente della regione Emilia Romagna, aveva aderito alla trattativa per la maggiore autonomia, la legge fissa in 24 mesi il periodo di tempo che il Governo avrà per adottare i Lep, con uno o più decreti legislativi. E su questi servirà l’accordo di tutte le regioni, non solo di quelle “autonomiste”, oltre ad avere trovato le risorse finanziarie sufficienti per attuali, cosa che oggi costituisce il maggiore freno per l’attivazione pratica della maggiore autonomia.

Sulle materie concorrenti, inoltre, la legge attribuisce il potere di veto al premier: ad una Regione che legittimamente chiede 23 materie, il presidente del Consiglio potrebbe concederne molte meno.

Se Zaia, Fontana e Cirio mordono il freno per attivare il processo di maggiore autonomia, viceversa dall’Emilia Romagna giungono segnali di ripensamento da parte del presidente uscente della regione, Stefano Bonaccini, in procinto di traslocare all’Europarlamento. «L’autonomia di Calderoli – ha spiegato Bonaccini, uno dei vertici del Pd di Schlein – è molto diversa da quella che ha proposto l’Emilia Romagna nel 2018: noi non chiedevamo un euro in più, mentre applicare i residui fiscali è l’anticamera di nuove fratture territoriali».

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