La manovra di bilancio 2025 parte da 20 miliardi e in agguato c’è l’Ue

Potrebbero aggiungersi altri 12 miliardi per ridurre il deficit. Per l’Ufficio parlamentare di Bilancio le politiche dei bonus sono distorsive in capo ai percettori.

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manovra di bilancio 2025

La manovra di bilancio 2025 parte da quota 20 miliardi: tanti ne occorrono per confermare i 18 miliardi di tagli al cuneo fiscale e della riduzione a tre degli scaglioni fiscali approvati solo per il 2024, oltre ad almeno altri 2 miliardi se si vorranno aggiungere altre spese solitamente inserite nelle politiche invariate, come il rinnovo dei contratti della pubblica amministrazione.

Secondo i conteggi dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), realtà tecnica a servizio dei legislatori e del governo, però la conferma del taglio al cuneo nelle modalità finora occorse causa distorsioni a ridosso delle soglie di reddito di 25.000 e 35.000 euro, rischiando di generare una “trappola di povertà”. «Vicino alle due soglie di reddito oltre le quali si abbassa o viene meno lo sgravio contributivo (25.000 e 35.000 euro), con aliquote marginali superiori al 100% – afferma l’Upb nel Rapporto annuale -. L’aumento di un solo euro del reddito determina una diminuzione dello sconto, e quindi del reddito disponibile, di circa 150 euro quando si superano i 25.000 euro lordi e di circa 1.100 euro superati i 35.000 euro lordi. Questo fenomeno diventerebbe estremamente rilevante se la decontribuzione dovesse diventare permanente».

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Rendere il taglio del cuneo strutturale, spiega l’Ufficio parlamentare di bilancio, «da un lato, indurrebbe un forte disincentivo al lavoro, e dall’altro, renderebbe più difficile raggiungere nuovi accordi contrattuali, questione che assume particolare importanza dopo la perdita di potere d’acquisto causata dall’inflazione. In quest’ultimo caso, per non determinare riduzioni del reddito disponibile, l’aumento del salario dovrebbe essere tale da compensare la perdita del beneficio contributivo. Con il sistema attuale, considerando dunque anche le alte aliquote fiscali, sarebbe necessario un aumento di salario di circa 2.000 euro per neutralizzare gli effetti del superamento della seconda soglia». Praticamente irrealistico.manovra di bilancio 2025

Non solo: secondo i tecnici dell’Upb, due anni di forte inflazione si sono letteralmente mangiati 10 anni di bonus vari erogati dai governi succedutesi da Renzi in poi. Il decennio partito dagli 80 euro renziani del 2014, proseguito con la sua estensione a 100 euro operata dal Governo Conte 2 per arrivare alle quattro aliquote targate Mario Draghi poi ridotte a tre nel solo 2024 dalla scorsa Finanziaria del Governo Meloni, interessando dapprima i redditi più bassi, per poi estendersi a quelli leggermente più alti.

Gli interventi normativi di riduzione dell’imposta nel periodo 2014-2024, secondo l’Upb «hanno ottenuto un vantaggio pari a circa il 3% del reddito imponibile per i lavoratori dipendenti che però devono fare la tara dell’effetto del drenaggio fiscale, pari a circa 3,6 punti percentuali». Per i pensionati, «lo squilibrio è maggiore e arriva ad aumentare il carico fiscale a parità di potere d’acquisto dell’1%, mentre comprendendo anche le altre tipologie di reddito il risultato è un aumento del carico dello 0,72 per cento».

Fra i dipendenti, a quota 25.000 euro lordi annui, gli interventi sull’Irpef hanno offerto 991 euro in più di reddito disponibile, ma l’inflazione nei 10 anni considerati ne ha bruciato 1.343 euro con un saldo negativo di 352 euro. Lo stesso effetto torna praticamente in tutte le fasce di reddito, con l’unica eccezione di chi si trova a 35.000 euro: le riduzioni di aliquote hanno concentrato i loro effetti proprio su questi livelli di reddito, che quindi spuntano ancora un mini-saldo positivo da 85 euro all’anno.

Proprio qui si incontra però il difetto cruciale del taglio al cuneo, che contribuisce a migliorare drasticamente il saldo per quest’anno, l’unico per il quale al momento è in vigore, ma spiazza i conti di chi si trova vicino al limite dei 35.000 euro oltre il quale la decontribuzione si ferma. In questo caso, nei calcoli Upb «basterebbe un solo euro per perdere 1.100 euro di potere d’acquisto, con un’aliquota marginale effettiva del 110.000% inedita anche per il bizzarro fisco italiano (nel passaggio da 25.000 a 25.001, quando lo sconto si riduce da 7 a 6 punti, la perdita di reddito è di 150 euro, con un’aliquota marginale del 15.000%)».

Il governo Meloni, oltre a fare i conti sull’opportunità o meno di confermare il taglio del cuneo fiscale che non sempre è stato positivo, nella manovra di bilancio 2025 deve fronteggiare anche l’avvio della procedura europea di deficit eccessivo assieme ad altri sei paesi, tra cui la Francia. Si tratta di avviare una manovra di rientro del deficit eccessivo – in Italia quasi tutto causato dal boom della spesa per i bonus edilizi – che secondo l’Upb «è stimato in 0,5-0,6 punti di Pil all’anno» (pari a circa 10-12 miliardi) su un sentiero settennale. La correzione è già considerata nel Def ma il percorso di risanamento, mirato ad alleggerire un debito che resta «un fattore di vulnerabilità» per l’economia del Paese, si tradurrà anche in un limite alla «possibilità di effettuare interventi in disavanzo», avverte la presidente dell’Upb, Lilia Cavallari.

Per il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ribadendo l’approccio «responsabile» e prudente del governo e indicando la necessità interventi «selettivi», assicura che il cuneo è la prima misura che sarà confermata nella manovra di bilancio 2025: è un impegno «inderogabile», e sarà fatto, assicura, senza deficit aggiuntivo. Per il resto si dovranno «ponderare» attentamente le risorse da destinare alle singole politiche, dando priorità «alla mitigazione dell’impatto di eventuali shock sui soggetti più esposti».

Di fatto, Giorgetti e Giorgia Meloni devono darsi coraggio e attuare da subito un’azione di taglio e riqualificazione della spesa pubblica, che vada ben oltre ai taglietti anestetizzanti finora previsti. Da almeno 15 anni, vari studi affermano che la spesa improduttiva aggredibile si attesta attorno ai 50-60 miliardi all’anno. Si abbia il coraggio di iniziare ad agire da , mettendo in debito conto di suscitare malcontento e perdite di consenso immediato ma che potranno essere recuperate entro il 2027, presentando agli elettori una Nazione finalmente con i conti impostati su un risanamento strutturale.

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