Motori termici: Toyota, Mazda e Subaru lanciano una nuova famiglia di propulsori

Saranno policombustibile, più efficienti e con un impatto ambientale simile se non inferiore all’elettrico puro. Il peso fiscale sull’auto italiana rallenta il rinnovamento del parco circolante.

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Motori termici

Dal Giappone arriva un’altra pietra tombale sullo scenario dell’elettrificazione totale della mobilità voluta unilateralmente dalla politica europea: un’alleanza composta da Toyota (maggior produttore mondiale di automobili), Mazda e Subaru (queste ultime due alleate con partecipazioni azionarie incrociate da Toyota) hanno messo in campo una nuova famiglia di motori termici policombustibile più efficienti, compatti, potenti e decisamente meno ambientalmente impattanti, tanto da aprire un nuovo scenario di riferimento.

Toyota, assieme a Subaru e Mazda, hanno sottolineato l’impegno a continuare il processo di elettrificazione, fino al raggiungimento della neutralità carbonica nello sviluppo dei motori termici. L’amministratore delegato di Toyota, Koji Sato, ha affermato che l’azienda sta sviluppando un motore a 4 cilindri in linea da 1,5 aspirato e 2,0 litri sovralimentato dalle dimensioni più ridotte e al tempo stesso più efficiente in termini di consumi da montare sui suoi veicoli ibridi plug-in e su altri modelli elettrici. Il nuovo motore da 1,5 litri 4 cilindri raggiungerà una riduzione di volume e peso del 10% rispetto agli attuali motori da 1,5 litri a 3 cilindri utilizzati in auto come la Yaris e le sue declinazioni Lexus. Il nuovo motore turbo da 2,0 litri potrà avere prestazioni simili rispetto agli attuali motori turbo da 2,4 litri utilizzati in modelli più grandi come i suv a 6 o 7 posti.

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Mazda ha presentato un progetto per utilizzare la tecnologia innovativa del suo motore Wankel a due rotori con integrato un motore elettrico in grado di bruciare un’ampia gamma di carburanti, compresi i biocarburanti.

Subaru, infine, svilupperà veicoli più efficienti grazie al tradizionale motore boxer a cilindri contrapposti orizzontali, che genera meno vibrazioni grazie alla naturale equilibratura (geometria al momento utilizzata solo da Porsche per i propulsori a 4 e 6 cilindri delle sue coupé sportive, dopo l’abbandono dell’Alfa che lo aveva sviluppato per l’Alfasud, prima, e per le Alfa 33, poi propulsori con questa geometria).

I tre produttori di automobili giapponesi mirano a sviluppare motori termici più piccoli, più efficienti e con una potenza specifica maggiore rispetto ai modelli esistenti, collaborando anche sull’uso di combustibili a impatto zero.

Ma a pesare sul lento ricambio del parco circolante europeo e, soprattutto, italiano c’è anche il fattore costo delle auto nuove, elettriche, ibride o tradizionali, il cui costo di listino è cresciuto del 30% circa negli ultimi due anni, mentre il potere d’acquisto delle persone, specie in Italia, non è andato alla stessa velocità.

Ma a zavorrare il mercato c’è, soprattutto in Italia, lo zampino del fisco che penalizza gli acquisti di privati ed aziende. Oltre all’Iva al 22% più alta rispetto agli altri grandi paesi europei che spaziano dal 19% tedesco al 20% medio di tutti gli altri, c’è il gigantesco problema della ridottissima deducibilità fiscale delle auto aziendali in Italia, cosa che ne limita anche l’acquisto. Le auto acquistate da aziende nel 2023 sono state il 67,2% del totale in Germania, il 57% nel Regno Unito, il 53,4% in Francia, il 55,9% in Spagna e soltanto il 44,5% in Italia.

Lo zampino del fisco italiano sull’auto aziendale è semplicemente vessatorio. Un confronto della situazione tra i cinque maggiori Paesi dell’Unione europea con un prezzo, Iva esclusa, di 40.000 euro che con l’Iva (deducibile in Italia solo al 40% contro il 100% degli altri paesi) in Italia sale a 48.800 euro, in Spagna siamo a quota 48.400 euro, in Francia e in Gran Bretagna siamo a quota 48.000 euro, mentre in Germania scende a 47.600 grazie al 19% di Iva. Il problema è dato dalle quote di deducibilità fiscale con la parte che rimane a carico di aziende e professionisti: per la stessa auto dell’esempio precedente, questa è di ben 41.665 euro in Italia, di 21.700 euro in Francia, di 25.800 in Gran Bretagna e 0 (z-e-r-o) in Germania e Spagna. Una situazione che vede la competitività del sistema produttivo italiano zavorrato da costi indeducibili decisamente più alti rispetto ai concorrenti europei, con una Spagna che riesce a correre indiscutibilmente più dell’Italia proprio grazie ad un fisco meno rapace.

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