Non bastava il probabile – anzi, quasi certo – spreco di denaro pubblico per un ammontare di 80 milioni di euro per realizzare la nuova pista da bob di Cortina, impianto su cui lo stesso Comitato olimpico internazionale (Cio) fin dall’inizio aveva fortissimi dubbi sulla convenienza e sul ritorno dell’investimento, preferendo gli esistenti e funzionanti impianti di St. Mortiz in Svizzera o di Igls in Tirolo.
Ora ci si mette la querelle relativa su chi paga i futuri costi di gestione dell’impianto per i prossimi vent’anni, stimati tra 1,5 e 2 milioni di euro l’anno. Il comune di Cortina si è già tirato fuori paventando dissesti del bilancio comunale se dovesse farsene carico.
Già chi paga i costi di manutenzione della pista da bob di Cortina per evitare il suo rapido ammaloramento così come è avvenuto in un pugno di anni sia per la ormai demolita “vecchia” Monti, ma anche per il più recente impianto di Cesana a Torino realizzato per le Olimpiadi invernali del 2026, finita rapidamente nel dimenticatoio e condannata alla consunzione, peraltro già a buon punto?
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In regione Veneto qualcuno ha avuto la classica pensata di scaricare la spesa sulle spalle del Fondo comuni confinanti alimentato dalle province di Trento e di Bolzano ciascuna con un contributo di 40 milioni all’anno. Sono soldi destinati per legge a ridurre il divario sociale ed economico dei comuni delle regioni ordinarie Veneto e Lombardia confinanti con le due autonomie speciali, che possono essere utilizzati per spese di investimento o per servizi pubblici. E tra le previsioni di utilizzo del Fondo non rientrano le spese di manutenzione ordinaria della pista da bob di Cortina.
Di più: la delibera della regione Veneto pubblicata sul Bollettino ufficiale regionale è stata decisa all’insaputa del presidente del Fondo, l’ex consigliere regionale e deputato prima di Forza Italia e ora di Fratelli d’Italia, Dario Bond, il quale è trasecolato, in quanto nessuno si è premurato non solo di chiedergli un parere preliminare, ma nemmeno di consultare l’effettivo potere operativo del Fondo. E poi, caricare 1,5-2 milioni all’anno sul Fondo equivarrebbe a distogliere in vent’anni una trentina di milioni di euro da investimenti di maggiore valore economico e sociale, a partire dal combattere lo spopolamento dei comuni di montagna.
Che la spesa pubblica di 80 milioni di euro per realizzare una inutile cattedrale sportiva tra le guglie dolomitiche sia uno speco lo afferma tra le righe anche la stessa Fisi, la Federazione italiana degli sport invernali che preventiva un utilizzo dell’impianto di Cortina estremamente ridotto nel tempo: il numero di settimane di utilizzo annuale dell’impianto risulta essere di 7,86 con un periodo di maggiore attività tra metà ottobre e metà marzo; che il numero di presunti atleti che utilizzeranno la pista sarà di 25 per il Bob, 15 per lo Skeleton e 43 per lo slittino e che il numero di competizioni che possono essere previste (sia nazionali che internazionali) sono 9.
Insomma, tanto valeva utilizzare gli impianti di Igls in Tirolo, così come avevano proposto anche gran parte degli atleti delle discipline sportive interessate, quasi tutti altoatesini, che erano molto più comodi andare a Innsbruck piuttosto che a Cortina anche in termine di collegamenti stradali e ferroviari.
Ma la politica dei campanili e dell’immagine si è messa in mezzo, a partire dalla Lega Salvini veneta e nazionale, così come gran parte dell’economia bellunese, con gli industriali capeggiati da Lorraine Breton in testa a strillare contro lo scippo olimpico, facendo fuoco e fiamme. Peccato che ora tutti quelli che solo qualche mese fa strillavano contro le Olimpiadi invernali dimezzate per Cortina ora se ne stiano ben zitti in tema della copertura delle spese di manutenzione ordinaria.
La stessa regione Veneto potrebbe ben farsene carico, magari tagliando dal fondo delle spese che serve per diffondere urbi et orbi le gesta del Doge veneto Luca Zaia. Ma anche gli stessi imprenditori del Bellunese ben potrebbero farsi carico della spesa, dimostrandosi così di essere veramente tali che credono nel futuro dell’impianto come volano dell’economia locale, sempre che non preferiscano essere considerati solo dei “prenditori”, pronti ad incassare i contributi pubblici e poi scappare lasciando il territorio al suo destino.
Comunque la si giri, la gestione delle Olimpiadi invernali 2026 in Veneto non brilla per efficienza e trasparenza, mentre evidenzia sempre di più l’improvvisazione al potere.
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