Dipendenti: le imprese si rubano vicendevolmente i più bravi

Per la Cgia le imprese puntano su strumenti di fidelizzazione e benessere aziendale che è ai massimi in Lombardia, Alto Adige e Veneto.

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lavoratori a rischio artigiani in estinzione dipendenti Contratti di secondo livello artigiani Inps

In Lombardia la qualità del lavoro dei dipendenti e, conseguentemente, il benessere aziendale non hanno eguali nel resto d’Italia, seguita dall’Alto Adige e il Veneto, con il Trentino appena fuori dal podio seguito dal Piemonte e dalla Valle d’Aosta. Male, invece, le regioni del Mezzogiorno: ad eccezione della Sardegna, sono tutte collocate nella parte bassa della graduatoria. Le situazioni più critiche, purtroppo, riguardano la Sicilia, la Calabria e la Basilicata che occupano gli ultimi tre posti della classifica nazionale.

L’analisi dell’Ufficio studi della CGIA ha messo a confronto 8 indicatori, prevalentemente di natura qualitativa, che sono stati “estrapolati” dal rapporto BES (Benessere Equo Sostenibile), presentato qualche settimana fa dall’Istat.

Dopo l’avvento della pandemia, anche il mercato del lavoro italiano ha subito trasformazioni importanti. In molte aree del Paese, le imprese faticano sempre più trovare profili con competenze adeguate; pertanto, mai come in questo momento hanno la necessità di fidelizzare i propri collaboratori che sta avvenendo per mezzo di una serie di comportamenti molto virtuosi; come, ad esempio, la corresponsione di retribuzioni più elevate, la trasformazione dei contratti a termine a tempo indeterminato, la possibilità di consentire ai dipendenti orari di lavoro più flessibili, attraverso il ricorso a strumentazioni professionali più innovativi, favorendo gli avanzamenti di carriera e, infine, con l’implementazione di benefit e di welfare aziendale. Nel Nord questo processo di miglioramento del benessere aziendale, soprattutto nelle Pmi, è ormai in corso da qualche anno. Nonostante ciò, la fuga dal posto di lavoro fisso prosegue.

Quando l’offerta di lavoro è in forte aumento e la domanda scarseggia, il rischio che le aziende si “rubino” i dipendenti migliori è molto elevato. Secondo l’Inps, le dimissioni volontarie dei lavoratori dipendenti privati a tempo indeterminato con meno di 60 anni sono in aumento: nel 2022 (ultimo dato disponibile) hanno toccato quota 1.047.000 e, rispetto al 2019 (anno pre-Covid), sono cresciute di 236.000 unità (+29,1%). E’ verosimile ritenere che sia in aumento il numero di coloro che hanno deciso di lasciare il vecchio posto di lavoro per uno nuovo. Una decisione, quest’ultima, spesso maturata dopo aver ricevuto un’offerta retributiva migliore e la messa a disposizione di un ambiente di lavoro meno “stressante” del precedente.dipendenti

Gli indicatori presi in esame per valutare il benessere equo sostenibile sono stati i seguenti:

1 – dipendenti con paga bassa;

2 – occupati sovraistruiti;

3 – occupati con lavori a termine da almeno 5 anni;

4 – tassi di infortuni mortali e inabilità permanente;

5 – occupati non regolari;

6 – soddisfazione per il lavoro svolto;

7 – percezione di insicurezza dell’occupazione;

8 – part time involontario.

Il 16,1% in Sicilia, il 17,65 in Puglia e il 19% in Calabria sono le incidenze regionali più elevate di lavoratori dipendenti che hanno dichiarato nel 2020 di aver ricevuto una retribuzione bassa rispetto alla mole e alla qualità del lavoro prestate. La soglia più contenuta, invece, ha riguardato i lavoratori del Trentino, con il 6,1%.

Per quanto concerne gli occupati sovraistruiti – ovvero coloro che nel 2023 ritenevano di avere un titolo di studio superiore a quello maggiormente posseduto per svolgere quella professione sul totale degli occupati – la soglia sfiora il 30% al Centro, con punte del 32,7% in Umbria, il 33,2% in Basilicata e il 33,5% in Molise. Il livello più contenuto si trova in Alto Adige con il 16,3%.

In relazione al numero di precari – vale a dire alla percentuale di occupati con lavori a termine da almeno 5 anni – le situazioni più critiche registrate nel 2023 hanno interessato la Calabria con il 25,5%, la Basilicata con il 25,7% e la Sicilia con il 27,9%. La Lombardia, invece, è la regione che con il 10,7% è la meno interessata da questo fenomeno.

Il lavoro irregolare è presente soprattutto nel Mezzogiorno, con punte ogni 100 occupati del 16% in Sicilia, del 16,5% in Campania e del 19,6% in Calabria. Il livello più contenuto, invece, è in Alto Adige con il 7,9%.

La soddisfazione per il proprio lavoro – vale a dire l’appagamento per il livello di retribuzione ottenuto, le ore lavorate, la stabilità del posto, l’opportunità di carriera, la distanza casa/lavoro, etc. – tocca la punta più elevata del 61,7% in Valle d’Aosta. Seguono con il 61,1% il Trentino e con il 60,5% in Alto Adige. Il livello di soddisfazione più basso si attesta al 41,2% è riguarda la Campania. In Italia praticamente un occupato su due non è soddisfatto del lavoro che svolge (il 48,3% del totale).

 

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