Remunerazione dei conti correnti: la Casta colpisce ancora

Alla Camera l’interesse applicato sulle giacenze è del 5,6250%, 28 volte in più di un normale correntista.

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Remunerazione dei conti correnti

I servizi finanziari offerti dalle banche non sono uguali per tutti: ci sono correntisti più eguali degli altri, specie nella remunerazione dei conti correnti sulle giacenze liquide. Ne sanno qualcosa quei pochi fortunati che possono vedersi riconosciuti sulle giacenze liquide tassi lordi del 5,6250%, una remunerazione superiore perfino al migliore dei Btp Valore, strumento ideato dal ministero delle Finanze per intercettate il risparmio delle famiglie per “nazionalizzare” maggiormente l’enorme debito pubblico italiano togliendo dalle grinfie degli speculatori esteri.

Ma chi sono quei fortunati che possono godere di una ricchissima remunerazione dei conti correnti? Neanche a dirlo sono sempre loro, gli esponenti della casta parlamentare e i loro reggicoda, dai funzionari della Camera dei deputati, giornalisti parlamentari e altri ancora che hanno la possibilità di accendere un conto corrente presso lo sportello interno della Camera gestito da Banca Intesa grazie ad una convenzione di 8 anni appena stipulata al costo di ben 800 milioni di euro.

La convenzione della Camera dei deputati vinta da Banca Intesa prevede che ai correntisti venga corrisposto un “tasso creditore annuo nominale” pari al tasso Euribor a un mese, fissato come valore di riferimento al 3,8550, maggiorato dell’1,77%, determinando così un tasso del 5,60% (lordo), un livello stratosferico se si pensa che il tasso ufficiale di sconto della Banca centrale europea è al 4,5%. Difficile se non impossibile che una banca commerciale applichi alla propria clientela, anche a quella di estremo riguardo a fronte di depositi ingenti, un tasso superiore a quello ufficiale di sconto.

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Fuori dalle porte della Camera dei deputati, la realtà della remunerazione dei conti correnti è drammaticamente differente: secondo un’indagine condotta dalla Fabi, la Federazione autonoma dei bancari italiani, la remunerazione media sulle giacenze dei “normalicorrentisti e delle aziende è dello 0,20%, ovvero 28 volte inferiore a quella riconosciuta ai deputati e loro codazzo di collaboratori e famili per un conto con giacenza liquida fino a 50.000 euro.

Una remunerazione privilegio di casta e senza alcun rischio, visto che un Btp a 10 anni rende intorno al 3,80%, con il rischio di perdite in conto capitale se lo si dovesse liquidare prima della scadenza.

La convenzione sottoscritta tra la Camera e Banca Intesa lo scorso 5 aprile 2024 prevede altre condizioni molto vantaggiose per i fortunati correntisti. Il tasso debitore “sulle somme utilizzate in assenza di fido” è anch’esso di riguardo al 10,3550% sempre con il riferimento all’Euribor maggiorato del 6,5%. Simile il tasso per gli “sconfinamenti in assenza di fido”. La vera cuccagna è il lungo elenco di operazioni a costo zero (coperte dalla spesa che la Camera si sobbarca alla modica cifra di 10 milioni all’anno) che spaziano dalle spese fisse, alla tenuta del conto, ai bonifici, compresi quelli urgenti, la domiciliazione delle utenze, le operazioni allo sportello, la commissione di pagamento dei bollettini o, ancora, la ricarica della carta prepagata e via elencando.

Da parte di Banca Intesa, una siffatta generosità non è un problema, visto che il bilancio 2023 appena approvato dall’assemblea dei soci chiude con un utile record di 7,7 miliardi e un dividendo ai soci di 5,4 miliardi, oltre ad una remunerazione al suo amministratore delegato, Carlo Messina, di 5,745 milioni di euro.

Se i deputati sorridono, i senatori se la cavano peggio, visto che il gestore dello sportello interno, la Bnl, riconosce una remunerazione sui conti correnti decisamente inferiore, pari al 3,8%, tanto che da più parti si chiede una revisione della convenzione in essere dal 1940 sempre con lo stesso gestore, anche se ai senatori non è vietato fare una capatina allo sportello bancario della Camera per accendere un conto a condizioni decisamente migliori.

L’ennesimo caso sulla casta offre l’occasione per una riflessione più generale sulla disinvoltura delle banche che, da una parte, chiudono indistintamente bilanci da capogiro mentre, dall’altra, applicano la ferrea politica della lesina sulla remunerazione dei conti correnti di cittadini ed imprese, imponendo spesso costi di gestione altissimi, tanto che quest’ultimi sono multipli dei ricavi da interesse, oltretutto tassati alla fonte del 26%.

Non solo: mentre gli utili crescono a dismisura, cala la presenza sul territorio dei servizi finanziari per cittadini ed imprese, tanto da parlare di desertificazione bancaria in tantissimi comuni del Paese, con tante realtà ormai prive pure del servizio bancomat.

Una realtà indegna di un paese avanzato dove le stesse banche che si vantano di attivare politiche di solidarietà e di attenzione alla collettività poi mancano clamorosamente alla loro primaria missione istituzionale di offrire i servizi bancari sul territorio. Molto meglio sarebbe fare qualche miliardo di utile in meno e garantire i servizi sul territorio, questi sì vere ricadute sociali e pure tangibili.

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