Nel giro degli ultimi dieci anni le importazioni di alimentari esteri sono aumentate del 60% raggiungendo il valore record di 65 miliardi di euro. Prodotti spesso provenienti da Paesi che non rispettano le stesse regole di sicurezza alimentare e ambientale e di rispetto dei diritti dei lavoratori secondo la denuncia di Coldiretti durante la due giorni di manifestazione al Brennero per chiedere più trasparenza e un netto stop all’ingresso di prodotti da fuori dei confini Ue che non rispettano gli stessi standard europei garantendo il principio di reciprocità delle regole.
Un vero e proprio attacco al patrimonio agroalimentare dell’Italia favorito dalle follie europee che fanno calare la produzione agricola nazionale spingendo – sottolinea Coldiretti – il deficit alimentare del Paese che è arrivato a produrre appena il 36% del grano tenero che le serve, il 53% del mais, il 51% della carne bovina, il 56% del grano duro per la pasta, il 73% dell’orzo, il 63% della carne di maiale e i salumi, il 49% della carne di capra e pecora mentre per latte e formaggi si arriva all’84% di autoapprovvigionamento.
L’invasione non ha risparmiato alcun settore. Nel 2023 le importazioni di alimentari sono state oltre 5 miliardi di chili di prodotti ortofrutticoli con un aumento del 14% rispetto all’anno precedente. Uno dei prodotti simbolo dell’invasione sono le patate: escludendo quella per la semina, ne sono arrivati 797 milioni di chili, in crescita del 39% rispetto a dodici mesi prima. A questi ne vanno aggiunti altri 288 milioni di chili congelate e 74 milioni di chili cotte e congelate, oltre a 10 milioni di chili di patatine già pronte tipo quelle fritte dei sacchetti.
Ammontano poi a 251 milioni di chili – prosegue Coldiretti – le importazioni di piselli tra freschi e secchi (+20%), mentre quelle di fagioli sono pari a 176 milioni di chili (+9%), e di lattuga ne sono arrivati 126 milioni di chili (+5%). Di pere ne sono arrivati 127 milioni di chili (+15%) ma è boom soprattutto per gli arrivi di pesche e nettarine balzate a 108 milioni di chili (+74%). Crescono a doppia cifra anche le importazioni di kiwi (+23%) pari a 80 milioni di chili. A questi vanno aggiunti i prodotti trasformati, come ad esempio i succhi di frutta. Nel 2023 ne sono stati importati 202 milioni di chili, il 25% in più rispetto al 2022.
Invasione anche di cereali tra le importazioni di alimentari. Nel 2023 l’Italia ha importato 3,06 miliardi di chili di grano duro per la pasta, in crescita del 66% rispetto all’anno precedente, mentre gli arrivi di grano tenero con cui fare pane e biscotti sono stati di 4,88 miliardi di chili, l’8% in più rispetto a dodici mesi prima. Le importazioni di latte sfuso sono state pari a 884 milioni di kg, in aumento del 47% rispetto al 2022, ai quali vanno aggiunti altri 302 milioni di kg di confezionato. Ma ci sono anche 593 milioni di chili di formaggi e latticini arrivati nel 2023 (+11%). Tra le carni, le importazioni maggiori hanno riguardato quelle di maiale, pari a 992 milioni di chili (+4%), davanti alle bovine con 375 milioni di chili (+5%) mentre quelle di pecora ammontano a 29 milioni di chili (+14%). Per il pesce, ne sono stati importati 793 milioni di chili, sostanzialmente sui livelli del 2022.
Parallelamente alle importazioni di alimentari europei ed extraeuropei crescono a anche i casi di prodotti alimentari che non rispettano le norme europee in fatto di residui di principi attivi. Nell’ultimo anno è scoppiato in Italia oltre un allarme alimentare al giorno con ben 422 allerte che hanno riguardato prodotti stranieri per la presenza di residui di pesticidi vietati in Italia, micotossine, metalli pesanti, inquinanti microbiologici, diossine o additivi e coloranti, in aumento del 42% rispetto allo stesso periodo dell’anno. E in quasi 6 casi su 10 si tratta di prodotti provenienti da paesi Extra Ue.
E’ quanto emerge da una analisi Coldiretti su dati Rasff al 1° aprile 2024. Frutta e verdura sono al primo posto per numero di segnalazioni, pari al 30% del totale. Si va dai pistacchi turchi e iraniani con alti livelli di aflatossine alle carote dall’Egitto con residui di Linuron, un pesticida vietato in Europa. Ma ci sono anche i fagioli all’occhio del Madagascar con Chlorpirifos, una sostanza bandita in Ue perché sospettata di danneggiare il cervello dei bambini, presente peraltro anche sui fagioli dal Bangladesh. Norovirus sui frutti di bosco congelati tedeschi e serbi, ma neppure il succo d’arancia congelato è sicuro – continua Coldiretti –, poiché su quello iraniano ci sono residui di Propiconazole, sostanza anch’essa vietata. Pesticidi banditi anche sui peperoncini dal Kenya, mentre sui fichi secchi turchi sono state rinvenute aflatossine.
Al secondo posto tra i prodotti più pericolosi c’è il pesce, con 107 segnalazioni. Si va dalle ostriche francesi e olandesi con la presenza di norovirus – prosegue Coldiretti – alle seppie congelate dall’Albania con contenuto di cadmio, dal pesce spada e dal tonno spagnoli con presenza di mercurio oltre i limiti ai filetti di merluzzo congelato dalla Cina con la salmonella, presente anche nelle cozze cilene.
Tra i prodotti più pericolosi ci sono anche le carni, quasi principalmente per la presenza di salmonella scoperta nelle carni di pollo e di tacchino dalla Polonia, dall’Olanda dalla Spagna, ma anche nelle cosce di rana turche e cinesi.
Al quarto posto i cereali dove la quasi totalità delle segnalazioni riguardano il riso dal Pakistan, per la presenza di aflatossine e residui di pesticidi vietati, mentre al quinto troviamo le spezie, dal peperoncino dello Sri Lanka con aflatossine all’origano turco con tossine naturali, dal peperoncino cinese con salmonella al cumino indiano con residui di pesticidi.
«E’ necessario che tutti i prodotti che entrano nei confini nazionali ed europei rispettino gli stessi criteri, garantendo che dietro gli alimenti, italiani e stranieri, in vendita sugli scaffali ci sia un analogo percorso di qualità che riguarda l’ambiente, il lavoro e la salute – ha sottolineato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini -. Dal Brennero chiediamo dunque l’applicazione del principio della reciprocità, ovvero stesse regole uguali per tutte a partire dai fattori di produzione. Basti pensare all’uso dei pesticidi. Un quarto di quelli usati negli Stati Uniti risulta vietato nella Ue e le percentuali salgono se si tengono in conto i paesi del Sudamerica. E’ assurdo che noi continuiamo a importare cibi prodotti con sostanze che in Europa sono vietate da decenni».
La mobilitazione al Brennero ha evidenziato anche l’utilizzo disinvolto di denominazioni italiane per le importazioni alimentari dall’Europa e non. Nel centinaio di camion in ingresso in Italia ispezionati dalla Guardia di Finanza, dai carabinieri dei Nas, dalla polizia dai vigili del fuoco, rinvenuti carichi di prodotti alimentari come i pomodori San Marzano provenienti dall’Olanda e diretti a Verona. O la ricotta fresca che arriva dal Nord Europa per essere commercializzata a Latina e il pane di Altamura dalla Repubblica Ceca destinato proprio ad Altamura, la località della Puglia celebre per il suo pane Dop. Persino arance dalla Gran Bretagna (forse provenienti dalle Canarie) spedite a Ferrara. E ci sono anche circa duecentomila quintali di latte austriaco e belga destinato praticamente su tutto il territorio nazionale, da Napoli alle Marche, dal Trevigiano a Collecchio (Parma). E pure latte per bambini sempre austriaco per il Bolognese. E ancora, pesce fresco olandese per il Ferrarese, terra del Delta del Po, e anguille vive per Chioggia, carote surgelate belghe per il soffritto con destinazione Pomezia, oltre all’immancabile carne di maiale, in mezzene, cosce o surgelata.
La madre di tutte le battaglie a Bruxelles, in particolare – sottolinea la Coldiretti – è l’abolizione del concetto di ultima trasformazione sostanziale per gli alimenti, quello che tecnicamente si chiama codice doganale. Non è possibile che si spacci per italiano un cibo che non è stato coltivato o allevato in Italia, dalle cosce di prosciutto estero che dopo essere stati salati e stagionati vengono venduti per italiani a latte che diventa mozzarella italiana. È un furto d’identità – rileva Coldiretti – che inganna i consumatori e toglie reddito agli agricoltori.
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