Il Pnrr è nudo: Giorgetti, va rivista la scadenza finale del 2026

Il ministro all’economia si arrende alla realtà, fatta da una burocrazia impazzita e raddoppiata (italiana ed europea) e le difficoltà di spendere presto e bene 194,4 miliardi (di cui 122,4 a prestito).

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Pnrr è nudo

Il Pnrr è nudo: non sarà una bella visione, ma è il bagno di realtà fatto dal ministro all’Economia, Giancarlo Giorgetti, in occasione dell’evento “Selecting Italy 2024” organizzato a Trieste dalla Conferenza delle regioni con amministratori locali ed imprenditori per rilanciare la competitività italiana nel mondo.

Giorgetti ha sottolineato che «questo obbligo di finire tutto entro il giugno 2026 non va esattamente nel segno dell’efficacia degli interventi. Lo dico in modo tranquillo e sereno, ma auspico una riflessione su questo perché è giusto lo sprone a fare presto, ma bisogna anche fare bene», definendo il Piano nazionale di ripresa e resilienza «questo benedetto Pnrr».

Per Giorgetti il Pnrr rimane «un’occasione imperdibile per l’Italia», che per essere colta in pieno avrebbe però bisogno di più di un ripensamento nelle sue modalità di attuazione, a partire dal tabù della scadenza». Perché tra shock bellici e il boom inflattivo «abbiamo perso anni per ragioni che prescindono dalla responsabilità̀ di governi e Paesi, e non possiamo ignorarlo».

Il Pnrr è nudo e a Giorgetti va il merito di avere messo in chiaro quello che sottotraccia gira da mesi nei corridoi dei palazzi del potere europeo, dove il tema della scadenza del 2026 è ormai discusso informalmente nelle riunioni delle diverse Unità di missione dedicate al Piano, ma lo si fa sott’acqua. E ciò perché ogni eventuale spostamento della data di scadenza del Pnrr è visto come un’eresia da parte dei paesifrugali” che non vogliono più sentire parlare di debito comune.

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Sempre che alla proroga della scadenza del 2026 si arrivi, l’importante sarebbe non farlo a ridosso della scadenza, quando tutti i buoi sono già usciti dalla stalla, ovvero quando tutti i soldi sono stati spesi per spenderli ma non sempre nell’ottica di realizzare investimenti produttivi. Anzi, nella fretta di centrare la data limite del 31 dicembre 2026 si rischia in molti casi di sprecare gran parte dei 194,4 miliardi del Pnrr, di cui solo 72 sono sovvenzioni a fondo perduto, mentre il grosso, 122,4 miliardi, sono prestiti da restituire a Bruxelles, anche se con comode rate.

A giocare contro la scadenza, soprattutto in Italia, c’è la burocrazia nella sua duplice veste italiana ed europea, con il combinato disposto di rendere ancora più difficile il movimento degli ingranaggi di spesa, tant’è che a quasi tre anni dall’avvio del Pnrr, gran parte dei fondi già incassati sono ancora fermi, mentre i 93,8 miliardi che rimangono da incassare entro il 20 giugno 2026 è lecito nutrire più di un dubbio sulla reale capacità di buona spesa di quella “pioggia di miliardi” su cui pontificava l’indimenticato Giggino Di Maio nell’ambito del governo Conte 2.

Il Pnrr è nudo: il confronto con il piano Ira statunitense è impietoso, perché oltre Atlantico si fa decisamente sul serio, con 350 miliardi di dollari pubblici messi in cantiere senza troppa burocrazia, tanto che molte imprese europee trovano più conveniente investire negli Usa piuttosto che in Europa per evitare tutte le pastoie di Bruxelles, pastoie che lo stesso Giorgetti riconosce: «la montagna burocratica partorita intorno al Piano è eccessiva così come l’attenzione ossessiva sulle procedure di rendicontazione non può far dimenticare i risultati».

E se l’Italia non riesce ad attuare compiutamente il Pnrr, il rischio è che le cifre di previsione del bilancio nazionale 2024 e seguenti vadano a rotoli, complice l’andamento dell’economia tendente al ribasso – situazione già parzialmente riconosciuta dallo stesso Giorgetti con il taglio delle previsioni di crescita dall’1,2% al 1% -, gli effetti dei conti dei Superbonus edilizia largamente fuori controllo con oltre 210 miliardi di spesa – e 30 miliardi “freschi” da coprire nel 2024 e nel 2025 – oltre ai 25-30 miliardi che servono per prorogare gli effetti del cuneo fiscale e del taglio delle tasse attuato nel 2024 anche al 2025. Uno scenario che rende oltremodo difficile la quadratura dei conti pubblici, con il rischio quasi certo che dopo le elezioni europee ed amministrative – ad elettori gabbaticapiti quella manovrina estiva di aggiustamento dei conti pubblici nazionali che fino al 9 giugno prossimo sarà negata.

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