I conti economici nazionali dell’Istat relativi al IV trimestre 2023 evidenziano un’Italia in chiaroscuro che, anche se la situazione economica nazionale è migliore degli altri “grandi” europei, piazzandosi una volta tanto tra i paesi di testa nella crescita economica assieme alla Spagna, staccando di molto Francia e Germania, ma non c’è da stare troppo allegri.
A pesare negativamente sono i consumi interni, complice la disponibilità economica delle famiglie. La propensione al risparmio delle famiglie italiane è passata dal 7,8% del 2022 al 6,3% del 2023, toccando il livello più basso dal 1995. Un dato che si confronta anche con il recente picco di risparmio del 2020, al 15,6%, nell’anno terribile del Covid, e l’anno successivo al 13,6%, periodo in cui furono accumulati depositi bancari netti per 120 miliardi, di cui 85 sui soli conti correnti, salvo dal 2022 iniziare il calo con le famiglie che hanno attinto ai risparmi per cercare di mantenere invariato il proprio tasso di consumi in un’epoca di caro vita alle stelle.
Dai conti economici nazionali del IV trimestre 2023 realizzato dall’Istat si rileva che nel corso del 2023 il reddito disponibile delle famiglie consumatrici è aumentato del 4,7% (+5,7% nel 2022), pari ad un incremento di 58,7 miliardi. Una crescita monetaria vanificata dalla consistente crescita dei prezzi che ha determinato una contrazione dello 0,5% del loro potere d’acquisto: il reddito disponibile espresso in termini reali si è cumulato con la flessione dell’1,8% registrata nel 2022.
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La dinamica più sostenuta della spesa per consumi finali delle famiglie (+6,5%, +74,6 miliardi), rispetto al reddito disponibile, ha determinato nel 2023 una ulteriore riduzione della quota di reddito destinata al risparmio. Nel 2023 il reddito primario delle famiglie è aumentato di 75,2 miliardi (+5,6%), con un apporto positivo generato dai redditi da lavoro dipendente (+35,7 miliardi di euro, +4,5%), dai redditi derivanti dall’attività imprenditoriale (+18,6 miliardi di euro, +5,4%), dai redditi imputati per l’utilizzo delle abitazioni di proprietà (+10,2 miliardi di euro, +6,7%) e dai redditi da capitale finanziario (+10,7 miliardi, +17,6%). Il tasso di investimento delle famiglie cala al 9,0% (dal 9,2% del 2022).
Altro dato negativo evidenziato dai conti economici nazionali del IV trimestre 2023 elaborati dall’Istat è relativo alla pressione fiscale che è stata pari al 50,3%, cresciuta di 1,2 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Nota positiva riguarda l’indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni in rapporto al Pil calato al -5,5%, in miglioramento da -6,7% dello stesso trimestre del 2022, riduzione che si è estesa anche al saldo primario (l’indebitamento al netto degli interessi passivi) è risultato negativo, con un’incidenza sul Pil del -1,5% (-1,9% nel quarto trimestre del 2022).
L’aumento dei redditi di famiglie e imprese si è riflesso positivamente sul gettito tributario: nel 2023 le imposte correnti pagate dalle famiglie italiane sono aumentate di 24,6 miliardi di euro (+10,7% rispetto al 2022) per la crescita dell’Irpef, +10,2%, e delle ritenute sui redditi da capitale e sul risparmio gestito (+23,0%). Secondo l’Istat, il saldo degli interventi redistributivi nel 2023 ha sottratto alle famiglie 118,8 miliardi, 16,5 in più rispetto al 2022. Per le imprese, le imposte sulla produzione segnano un aumento di 2,2 miliardi (+7,5%).
I dati dei conti economici nazionali del IV trimestre 2023 sono fonte di allarme per il Codacons: «dimostrano in modo inequivocabile come il caro-vita che ha caratterizzato il 2023 abbia influito sulle condizioni economiche degli italiani, peggiorandole sensibilmente». Per il presidente Carlo Rienzi «i numeri dimostrano non solo il peggioramento delle condizioni economiche delle famiglie, ma anche l’inadeguatezza delle misure di contrasto attuate dal Governo, che non ha saputo adottare provvedimenti efficaci in grado di tutelare le tasche degli italiani».
Bicchiere mezzo pieno per Confesercenti: «il potere d’acquisto torna, finalmente, a crescere sull’anno: ma, come conferma il calo congiunturale sul trimestre precedente, il percorso di recupero si conferma, purtroppo, più lento delle nostre attese iniziali. Pesa l’onda lunga dell’inflazione, il cui rientro sta impiegando più tempo di quanto auspicato, ma si inizia a sentire anche l’effetto del “fiscal drag”. Negli ultimi tre mesi dell’anno, il gettito dell’Irpef è aumentato il doppio rispetto all’aumento dei redditi da lavoro dipendente (+4,5%) e dei redditi da lavoro autonomo (+5,4%). Il “fiscal drag” inizia dunque a mordere, e a spingere in direzione opposta al taglio delle aliquote appena entrato in vigore. Confermata invece l’efficacia del taglio del cuneo fiscale, che sta riducendo sostanzialmente i contributi pagati dai lavoratori dipendenti (-2,2%). Purtroppo, però, il beneficio non riguarda gli autonomi, i cui contributi sono anzi aumentati del 7,3%, ossia due punti in più rispetto all’aumento dei relativi redditi».
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