Nel 2023 l’export italiano ha evidenziato una totale stabilità rispetto al 2022. In termini assoluti le vendite all’estero sono state pari a 626 miliardi di euro. Tra i 27 Paesi dell’Unione Europea solo la Germania con 1.562 miliardi e i Paesi Bassi con 866 miliardi hanno registrato un flusso di vendite superiore a quello italiano.
L’invarianza del commercio estero nazionale è in massima parte riconducibile al rallentamento della domanda internazionale e allo sgonfiamento dei prezzi alla produzione, collegato alla normalizzazione delle quotazioni delle materie prime; criticità che hanno caratterizzato buona parte del 2023. Rispetto al 2019, comunque, la crescita delle esportazioni italiane è stata del 30,4% e se la comparazione la si fa con il dato di 15 anni addietro, ovvero il 2008 che è l’anno che ha preceduto la grande caduta del commercio mondiale, l’aumento è stato addirittura del 70% secondo l’analisi dell’Ufficio studi della CGIA.
Ancora una volta, la parte preponderante dell’export italiano l’hanno fatta i prodotti manifatturieri: dei 626,2 miliardi di export conseguiti nel 2023, ben 595,6 (il 95% del totale) è ascrivibile a questa tipologia di beni. Le merci che sono state acquistate maggiormente dai partner commerciali stranieri sono stati i macchinari per un valore di 101,1 miliardi, la farmaceutica per 49,1 e gli autoveicoli per 45,8. Rispetto al 2022, tra i primi 10 beni manifatturieri venduti all’estero solo i prodotti chimici (-8,5%), la metallurgia (-16,7%), i prodotti in metallo (-1,3%) e la pelletteria/calzature (-0,7%) hanno subito una contrazione.
La Germania (74,6 miliardi), gli Stati Uniti (67,3 miliardi), la Francia (63,4 miliardi), la Spagna (32,9 miliardi) e la Svizzera (30,5 miliardi) sono le prime cinque destinazioni delle esportazioni italiane. Le vendite in questi Paesi incidono per il 43% di quelle totali. Tra questi primi cinque destinatari, nel 2023 spicca la diminuzione delle vendite in Germania (-3,6%) e in Svizzera (-1,7%), mentre negli USA, in Francia e in Spagna la variazione è stata positiva.
A livello regionale, le aree più vocate al commercio estero sono state la Lombardia (163,1 miliardi di euro), l’Emilia Romagna (85,1 miliardi) e il Veneto (81,9 miliardi), che insieme fanno più della metà dell’export italiano.
Tra le province, Milano guida la classifica dei territori con la maggiore predisposizione all’export. Nel 2023 nel capoluogo regionale lombardo il commercio estero è stato pari a 57,9 miliardi di euro: praticamente tanto quanto la Toscana e il doppio del Lazio. Seguono, sempre a livello provinciale, Torino (29,6 miliardi), Vicenza (23 miliardi), Bergamo (20,7 miliardi) e Brescia (20,6 miliardi). In queste cinque realtà territoriali, tutte posizionate lungo l’asse autostradale A4 Torino-Trieste, si produce quasi un quarto (24,3%) dell’intera produzione nazionale di beni esportati all’estero.
Nonostante le vendite all’estero delle imprese italiane siano rimaste le stesse del 2022, rimane straordinario il livello registrato ancora una volta da alcuni settori che molti esperti identificano come le “4A”: ovvero, l’Automazione/Meccanica, l’Abbigliamento/Moda, l’Alimentare e l’Arredo/Casa. Insomma, il “Made in Italy” rimane una garanzia di successo, non solo nell’export, anche se è una condizione necessaria ma non sufficiente per l’efficacia delle strategie di internazionalizzazione delle imprese. Tuttavia, chi stabilisce se un prodotto italiano è esportabile oppure no? Nella stragrande maggioranza dei casi i titolari di una azienda decidono di internazionalizzarsi perché hanno colto l’importanza di vendere all’estero per aumentare la marginalità e credono nel proprio prodotto, perché rispecchia l’italianità che in tutto il mondo è apprezzata per la qualità, il gusto, il design, la bellezza e la cura dei dettagli. Specificità, quelle appena richiamate, che caratterizzano i beni realizzati dalle 123.000 imprese italiane che esportano.
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