Ancora una volta le mancate scelte della politica europea e nazionale finiscono con rivelarsi un boomerang sociale, economico e strategico: nel caso della realizzazione dell’infrastrutturazione della rete in fibra ottica, le aziende che hanno vinto la gara, Tim e Open Fiber, installano fibra ottica di produzione orientale (cinese, indiana e sudcoreana) puntando sul fattore prezzo, visto che costa un terzo di quella di produzione nazionale della Prysmian, la realtà italofrancese leader nella produzione di fibra ottica di alta qualità in Europa nei suoi due stabilimenti di Douvrin in Francia e di Battipaglia in Campania.
Peccato che così facendo, il ramo italiano di Prysmian sia rimasto praticamente senza commesse costringendo i vertici aziendali a mettere in vendita il sito produttivo con il risultato che andranno a spasso i 289 lavoratori, oltre ai 70 in somministrazione che a settembre scorso sono stati lasciati a casa, e i 120 dell’indotto. Senza considerare i costi di tenere in funzionamento al minimo tecnico gli altoforni, che non devono essere spenti altrimenti vetrificano e non sono più utilizzabili, con un costo di 900.000 euro al mese senza produrre niente.
Ancora una volta la politica perde un’occasione d’oro per fare una reale politica di interesse nazionale degli investimenti e delle ricadute del Pnrr che, nel caso dell’infrastrutturazione in fibra ottica del paese, prevede un investimento di 7,7 miliardi di euro. Soldi che in gran parte andranno a rimpinguare gli utili dei produttori cinesi, indiani e sud coreani mentre in Italia si chiude lo stabilimento attivo, con tutte le conseguenze sociali ed economiche del caso.
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Peccato che mentre in Italia ci si è baloccati da Conte a Draghi fino a Meloni nel non decidere nulla, in Francia il governo Macron è intervenuto stabilendo che l’infrastruttura nazionale francese vada realizzata solo con fibra ottica di alta qualità. Un criterio semplice e trasparente, che come conseguenza ha la valorizzazione della produzione nazionale dello stabilimento Prysmian di Douvin che utilizza tecnologie proprietarie, senza mettersi nelle more della violazione del principio della concorrenza.
Il problema di fondo è il forte divario di prezzo esistente nelle varie tipologie di fibra ottica: tra un prodotto di bassa qualità e uno di alta c’è una differenza sostanziale che va dagli 2,5-3 euro/km ai 6,5-7 euro/km. Una differenza che dal prezzo si riverbera anche su altri fattori sostanziali per una rete di telecomunicazioni strategica: le reti realizzate in fibra ottica in alta qualità hanno una durata di 20 anni e una capacità di trasmissione più elevata e con minori esposizioni al rischio di attacchi di criminali informatici, mentre quelle di minor costo offrono prestazioni decisamente inferiori.
Anche la burocrazia ci mette del suo: la decisione sulle caratteristiche tecniche della rete in fibra ottica sono stabilite dall’AgCom, non dal governo, con l’attivazione di un tavolo tecnico che ha visto parteciparvi sia il produttore nazionale Prysmian che gli installatori, con questi ultimi che hanno spinto per valorizzare l’aspetto dei costi rispetto a quello della qualità.
Di fatto, con questa decisione l’Italia realizzerà un’infrastruttura di telecomunicazioni non ai massimi livelli qualitativi possibili, con il rischio di effettuare una consistente operazione di manutenzione straordinaria della rete a scadenza più ravvicinata, oltre ad avere la certezza di condannare alla chiusura uno dei pochi impianti tecnologicamente all’avanguardia presenti sul territorio nazionale.
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