L’Europa taglia il traguardo dell’AI Act, un impianto monumentale di norme sull’intelligenza artificiale che fa dell’Ue il leader mondiale nella regolamentazione della nuova tecnologia. Ancora una volta l’Europa parte dal tetto delle regole sorvolando sulle basi che dovrebbero sorreggerlo, con uno sviluppo dell’intelligenza artificiale europea ancora lacunoso, tanto dal rischiare di diventare nuovamente dipendente da potenze estere – Cina e Usa su tutti – per soddisfare le proprie esigenze.
Intanto, l’Europarlamento ha gonfiato il petto, approvando con una maggioranza schiacciante in via definitiva l’AI Act che dovrà ora essere adottato dal Consiglio dell’Ue prima di diventare legge. Un passaggio formale dopo il via libera del mese scorso degli ambasciatori Ue, ultimo baluardo di resistenza all’AI Act.
Il complesso di norme per lo sviluppo, l’immissione sul mercato e l’uso dei sistemi di intelligenza artificiale in Europa si regge su un delicato equilibrio tra spinta all’innovazione e tutela dei diritti umani, della democrazia, dello Stato di diritto e della sostenibilità ambientale.
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Il regolamento sarà applicabile dopo due anni dall’entrata in vigore che scatterà con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Ue. Ma alcune sue parti scatteranno anche prima, come i divieti (ad esempio i limiti imposti all’utilizzo dei riconoscimenti biometrici) applicabili dopo 6 mesi. Oppure dei codici di buone pratiche, che entreranno in vigore dopo 9 mesi. E dei controlli sui sistemi di IA per finalità generali, compresa la governance (12 mesi) e gli obblighi per i sistemi ad alto rischio (36 mesi).
Un impianto normativo che intende anche dare una prima risposta alle inquietudini sollevate dalla velocissima diffusione di sistemi come ChatGPT. E che prevede sanzioni fino a 35 milioni e il 7% del fatturato delle imprese che non rispetteranno quanto previsto dal regolamento.
Sarebbe stato utile che, parallelamente al lavoro di regolamentazione, l’Unione europea avesse operato anche sull’implementazione di una via europea all’intelligenza artificiale, anche perché questo sistema basa gran parte dei suoi risultati sui dati di base su cui può contare. E chi l’ha finora sviluppata è partita dai dati del proprio contesto sociale, economico e scientifico, americano o cinese, con il patrimonio europeo che viene interessato come elemento di risulta.
Ancora una volta, l’Unione europea si dimostra un gigante fragile, privo di una logica di sviluppo a medio lungo termine, capace di baloccarsi sui suoi primati regolamentatori – cui nulla sfugge: pure le dimensioni dei fagiolini e delle carote -, ma che si distrare sulle cose che veramente contano, come già accaduto con ampi settori del “Green deal”, ad iniziare dall’elettrificazione coatta della mobilità o dell’efficientamento energetico degli edifici.
Un Europarlamento, quello che sta per cessare il mandato, troppo impegnato a coltivare l’ideologia e poco i fatti e gli interessi concerti degli europei, che lascerà in eredità ai nuovi eurodeputati una serie di provvedimenti da emendare in profondità o, meglio, da cancellare senza tanti ripensamenti, mentre agli stati e ai relativi governi tocca nominare una Commissione europea che, oltre alla compiuta conoscenza dei temi e degli scenari da trattare, sia più concreta e pragmatica verso la difesa degli interessi degli europei piuttosto che di quelli di potenze esterne.
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