Produrre idrogeno verde impiegando in maniera diretta l’energia solare per “guidare” la scissione dell’acqua rappresenta oggi uno dei più importanti traguardi nel campo delle tecnologie elettrochimiche. La maggior parte dei fotoelettrolizzatri proposti finora risultano instabili a causa della corrosione dei materiali o poco efficienti. E i risultati migliori continuano ad essere costretti nelle ridotte misure di laboratorio.
A rivoluzionare il settore della produzione di idrogeno verde potrebbe essere il nuovo sistema fotoelettrochimico (photoelectrochemical-PEC) proposto dagli scienziati dell’Ulsan National Institute of Science and Technology (UNIST), in Corea del Sud. Il gruppo ha studiato a fondo le sfide associate alla produzione diretta di idrogeno solare, rivedendo la ricetta delle tradizionali celle PEC. Ma soprattutto ha unito in un solo prodotto tutte le caratteristiche desiderate: alta efficienza di conversione sole-H2, durata, scalabilità.
Nella scissione fotoelettrochimica dell’acqua, l’idrogeno viene generato utilizzando luce e semiconduttori specializzati, simili a quelli utilizzati nella generazione fotovoltaica, ma immersi in un elettrolita a base d’acqua. I raggi solari vengono assorbiti dal semiconduttore che funge da anodo della cella e scinde le molecole di acqua.
I reattori PEC possono essere costruiti sotto forma di pannelli simili a quelli fotovoltaici come sistemi di elettrodi o come sistemi di particelle di fotocatalizzatore in sospensione. I primi sono in assoluto quelli più studiati grazie alle somiglianze con le tecnologie fotovoltaiche.
Le sfide più grandi da risolvere al momento riguardano: le efficienze, da migliorare attraverso un maggiore assorbimento della luce e una migliore catalisi superficiale; la durata, da ottimizzare attraverso materiali che resistano alla corrosione e rivestimenti superficiali protettivi; i costi di produzione, da abbassare tramite materiali e processi più economici di quelli attuali.
Come dice Jae-seong Lee, del gruppo dell’UNIST, «recentemente è stata sviluppata una tecnologia che risolve in una certa misura il problema dell’efficienza, ma i risultati sono stati ottenuti da un piccolo dispositivo da laboratorio. Per la commercializzazione è necessario un ampliamento per aumentarne le dimensioni».
Uno degli aspetti chiave della svolta sudcoreana per la produzione di idrogeno verde consiste nell’aver impiegato la perovskite per il loro fotoelettrodo, materiale ben noto per l’efficienza fotovoltaica e relativamente economico. Di contro, come hanno mostrato le stesse celle solari, la maggior parte delle perovskiti è particolarmente sensibile agli stress ambientali. In particolare ai raggi ultravioletti e all’umidità. Sulla carta non la scelta migliore per un materiale da impiegare sott’acqua.
Per ovviare la problematica, il gruppo ha prodotto una perovskite più stabile ai raggi UV, utilizzando il formamidinio come catione nella molecola al posto del tradizionale metilammonio. La superficie di contatto con l’acqua è stata quindi completamente sigillata con un foglio di nichel per evitare la corrosione.
L’approccio ha permesso di aumentare le dimensioni del fotoelettrodo. Di solito questi componenti misurano meno di un centimetro quadrato nei lavori di ricerca e devono essere ingranditi di circa 10.000 volte per raggiungere una dimensione pratica per un fotoelettrolizzatore commerciale.
Per ingrandire il loro fotoanodo in perovskite, il gruppo di ricerca sudcoreano ha utilizzato una “progettazione basata su moduli”, che dispone piccoli fotoelettrodi di una certa dimensione, per poi collegarli tra loro orizzontalmente e verticalmente. In questo modo il dispositivo ha raggiunto un’efficienza di conversione dell’idrogeno solare superiore al 10% (requisito minimo per la commercializzazione), il valore più alto mai raggiunto per un fotoelettrodo di grande area.
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