Nei cantieri edili i morti sul lavoro sono preoccupanti: c’è un addetto che muore ogni due giorni e in un caso su tre non lavora in un’azienda edile, ma in una realtà imprenditoriale appartenente al settore dell’installazione degli impianti che, come previsto dagli accordi sindacali tra le parti sociali, applica ai propri dipendenti il contratto metalmeccanico.
Secondo l’Ufficio studi della Cgia non è comunque da escludere che in misura sempre più crescente questi lavoratori si trovino all’interno di un cantiere non per realizzare degli impianti (elettrici, idraulici, sanitari, di condizionamento, di sollevamento, etc.), ma per eseguire delle mansioni di natura strettamente edile (demolizioni, carpenteria, coibentazione, muratura etc.), senza disporre, però, di un corretto inquadramento contrattuale, quello dell’edilizia. Una tendenza, quest’ultima, che consente alle imprese che ricorrono a questo “escamotage” di risparmiare sul costo del lavoro.
Le maestranze che esercitano l’attività edile, ma non dispongono del CCNL corrispondente, non sono tenute a frequentare i corsi di formazione obbligatori previsti per gli edili, rendendo questi lavoratori meno consapevoli e meno preparati ad affrontare i rischi e i pericoli che possono incorrere durante la giornata lavorativa.
E’ evidente che nei cantieri accedono comunque troppi addetti che non hanno ricevuto un’adeguata formazione in materia di sicurezza. Se tra le principali irregolarità riscontrate dall’Ispettorato del Lavoro durante l’attività di controllo emergono, in particolar modo, i ponteggi non ancorati correttamente, l’assenza di percorsi all’interno del cantiere dedicati ai mezzi e/o ai pedoni o la mancanza/inadeguatezza di dispositivi di protezione collettivi (parapetti, armature, barriere), vuol dire che il lavoro da fare in materia di prevenzione è ancora tantissimo.
Secondo la banca dati Inail, in Italia nel 2022 sono stati denunciati 1.208 morti sul lavoro, di cui 175 – praticamente uno ogni due giorni – hanno interessato il comparto delle costruzioni. Tra i decessi avvenuti in questo settore, ben 63 (ovvero il 36% del totale), erano lavoratori del settore dell’installazione degli impianti. Un’incidenza, quest’ultima, che è aumentata notevolmente rispetto a quella registrata negli anni precedenti. A livello territoriale le situazioni più critiche riguardano il Piemonte (65%), la Liguria e l’Umbria (entrambe al 50%), la Lombardia con il 40,7% e il Friuli Venezia Giulia con il 40%.
Senza contare, poi, la presenza endemica nel settore dell’edilizia dei lavoratori in nero, così come emerso anche nella tragedia che si è consumata la settimana scorsa a Firenze. Lavoratori completamente sconosciuti al fisco, all’Inps e all’Inail che vengono pagati in contanti ogni fine settimana. Secondo le stime dell’Istat, negli ultimi anni il fenomeno nel suo complesso è in calo, tuttavia gli irregolari presenti nell’edilizia ammonterebbero a 220.200 ULA. Il tasso di irregolarità delle costruzioni nel 2021 (ultimo dato disponibile) era al 13,3%: tra tutti i settori economici presenti nel Paese, solo l’Agricoltura con il 16,8% e gli altri servizi alle persone (colf, badanti, cura della persona, etc.) con il 42,6% presentavano un tasso superiore alle costruzioni.
Sebbene i dati sui morti sul lavoro riferiti al 2023 siano provvisori, rispetto al 2022 la mortalità parrebbe in calo. L’anno scorso a livello nazionale i decessi sono stati 1.041 e la Lombardia, con 172, è la regione dove si è registrato il dato più preoccupante. Seguono il Veneto con 101, la Campania con 95, l’Emilia Romagna con 91 e il Lazio con 89. Le realtà dove la mortalità è più bassa riguardano quelle meno popolate. L’Alto Adige con 11, il Trentino con 8, il Molise con 5 e la Valle d’Aosta con 1 sono i territori meno investiti da queste tragedie nei luoghi di lavoro.
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