La povertà delle famiglie misurata in carrelli della spesa

Osservatorio Acli-Iref: persi 6 carrelli l'anno a causa dell'inflazione.

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L’inflazione continua a colpire senza pietà incrementando la povertà delle famiglie italiane che perdono mediamente 240 Euro al mese a causa dei rincari, soprattutto quelli degli alimentari. Questo il quadro che emerge dalla ricerca Acli “Povere famiglie. L’impatto dell’inflazione sui redditi degli italiani”, realizzata dall’Osservatorio nazionale dei redditi e delle famiglie in collaborazione con il Caf Acli e l’Iref.

La terza indagine «rappresenta un unicum nel suo genere» perché si basa su un panel di oltre 600.000 dichiarazioni dei redditi, in forma anonima, di famiglie che sono state seguite dal Caf Acli negli ultimi quattro anni. L’analisi di questo panel ha permesso di quantificare la perdita del potere d’acquisto e l’incremento diffuso della povertà delle famiglie.

Per rendere comprensibile la perdita del potere d’acquisto, l’analisi trasforma le cifre monetarie in carrelli della spesa per beni primari, ipotizzando un costo a carrello di circa 90 Euro. Ebbene, dal report emerge che, a causa dell’inflazione a doppia cifra del 2022, le famiglie italiane hanno perso l’equivalente di 6 carrelli della spesa annuali, con una perdita di potere d’acquisto che oscilla da 700 Euro di spesa per una famiglia bireddito senza carichi (quindi 8 carrelli della spesa in meno l’anno) a 330 Euro dei vedovi con carichi familiari (pari a 4 carrelli della spesa in meno).

Nel 2022 le famiglie del panel usato dalle Acli sono state 602.566: di queste, 474.592, pari al 79% del totale, hanno perso potere di acquisto rispetto a prima del Covid a causa dell’inflazione a doppia cifra. Si tratta di 1,9 miliardi di Euro di reddito equivalente familiare. In media la perdita di reddito familiare equivalente mensile è di 240 Euro dal 2019 al 2022 e oscilla fra 317 Euro e 150 Euro mensili a seconda delle famiglie.

La perdita del potere d’acquisto è in media dell’8,7% sul totale delle famiglie analizzate, in un differenziale che va dal 4,5% al 10% circa. Dal 2020 al 2023, il confronto sulle dichiarazioni dei redditi fa emergere la crescita del numero delle famiglie entrate in povertà relativa a causa dell’inflazione che «ha eroso i redditi del ceto medio più del Covid».

Nel mod. 730/2020, sottolinea la ricerca, le famiglie in povertà relativa erano l’8,2% del panel, dato in flessione nel mod. 730/2021, quando questa percentuale è scesa al 7,6%, «calo dovuto in parte alla deflazione degli anni del Covid e in parte alle politiche di salvaguardia dei redditi dagli esiti del confinamento».

L’inflazione ha eroso questo leggero recupero di potere di acquisto e ha fatto perdere centinaia di euro l’anno. Così nella dichiarazione dei redditi del 2023, le famiglie in soglia di povertà relativa sono passate dal 7,6% al 9,8% del panel. Dall’osservatorio Acli emerge, inoltre, che le donne sono le più penalizzate dall’inflazione: analizzando i modelli 730 del 2023, le donne sotto la soglia di povertà relativa sono il 58,1% rispetto al 41,9% degli uomini e hanno un reddito più basso di 247 Euro.

La perdita di reddito equivalente causata dall’inflazione fra il 2020 e il 2023 è maggiore per le famiglie con dichiaranti donna, che hanno perso in media 2.767 Euro a fronte di una perdita di 2.518 Euro degli uomini, quasi 250 Euro in più rispetto a quest’ultimi. Oltre il 90% delle dichiaranti donna in povertà relativa non risulta coniugata: è vedova, single o separata e il 34% delle restanti donne vive con almeno un figlio a carico.

Un’ulteriore ricerca delle Acli evidenzia che chi vive nelle aree interne del Paese non ha accesso a servizi pubblici adeguati ed è più povero di chi vive in città. Ogni cinque famiglie in povertà relativa, una è residente nelle aree interne (20,2%). La povertà relativa non è un fenomeno solo urbano, ma in proporzione è più diffusa nelle aree interne, con un gap di reddito fra città e aree periferiche che può arrivare a numeri consistenti e pesanti.

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