Le elezioni europee mandano in archivio le tavole del “Green Deal”

La Commissione europea rallenta vistosamente sul cammino a tappe forzate del piano “Fit for 55”.

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elezioni europee

L’aria delle prossime elezioni europee dell’8 e 9 giugno e l’istinto di sopravvivenza. – e di rielezione – di tanti europarlamentari e componenti della Commissione europea stanno portando ad un vistoso rallentamento della corsa a tappe forzate del piano “Fit for 55” voluto dall’ex vicepresidente socialista della Commissione, Frans Timmermans.

Per Ursula von der Leyen il rispetto degli accordi internazionali sul clima e dei 17 obiettivi di sostenibilità Onu sta passando in secondo piano, a causa, oltre delle prossime elezioni, anche della congiuntura economica e degli scenari geopolitici sfavorevoli.

Sta vistosamente crescendo il numero dei paesi che chiedono di frenare la deriva ambientalista volta all’azzeramento entro il 2050 delle emissioni europee, anche perché ci si è finalmente accorti che le proposte ambientaliste stanno frenando la competitività industriale dell’Europa, a partire dagli imballaggi, all’industria automobilistica e ora dell’agricoltura. Anche perché a fronte di costi maggiori non esistono misure di mitigazione comunitarie degli effetti economici.

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Un esempio su tutti dell’ircocervo normativo ambientalista partorito dalle menti comunitarie: la proposta di direttiva sulla “Corporate sustainability due diligence” (Csddd), che vorrebbe evitare che entrino in Europa prodotti realizzati sfruttando il lavoro minorile o altri abusi sociali ed ecologici nei Paesi in via di sviluppo o con normative poco stringenti, comporterebbe un aumento dei costi degli approvvigionamenti e aggravi burocratici anche sulle Pmi che dovrebbero garantire per tutta la loro filiera produttiva. Una sfida pressoché impossibile.

Non solo: c’è poi il tema dello slittamento di due anni dell’applicazione degli standard settoriali per la rendicontazione di sostenibilità diventata obbligatoria per molte imprese.

Altro esempio di retromarcia in vista delle elezioni europee è costituito dallo stop tedesco alla proposta di regolamento sulla riduzione delle emissioni di CO2 di autocarri, autobus e rimorchi. E sul fronte dei prodotti agroalimentari a che serve ridurre la produzione europea a favore di aumentare le importazioni dall’estero, spesso da paesi molto lontani con le relative maggiori emissioni relative al loro trasporto, con metodiche di produzione che consentono l’impiago di fitofarmaci che in Europa sono o vietate da vent’anni o che ammettono residui cento volte superiori di quelle utilizzate dai produttori europei.

Insomma, la deriva ambientalista pare essere finita sul binario morto e toccherà al prossimo europarlamento e alla nuova Commissione – guidata da commissari agli antipodi di quelli uscenti – mandarla definitivamente in archivio tra gli annali della malapolitica demagogica.

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