Dopo il 2020, “annus horribilis” in cui è scoppiata la pandemia, il popolo delle partite Iva è tornato ad aumentare e oggi la platea è stabilmente sopra i 5 milioni di effettivi. Al 31 dicembre 2023, si contavano 5.045.000 lavoratori indipendenti e sebbene il numero sia in leggero aumento rispetto a quattro anni fa, va segnalato che rimane ben lontano dai 6,2 milioni che registravamo agli inizi del 2004 secondo i conteggi statistici realizzati dall’Ufficio studi della CGIA.
Non tutte le categorie appartenenti al mondo del lavoro autonomo godono di buona salute. Anzi. Molte professioni sono in grosse difficoltà e il loro numero sta diminuendo, come i lavoratori autonomi “classici”, ovvero gli artigiani, i piccoli commercianti e gli agricoltori. Diversamente, sono in espansione le partite Iva senza albo od ordine professionale come i web designer, i social media manager, i formatori, i consulenti agli investimenti, i pubblicitari, i consulenti aziendali, i consulenti informatici, gli utility manager, i sociologi, gli amministratori di condominio, etc.
Il popolo delle partite Iva, delle micro imprese e i loro dipendenti rappresentano un blocco sociale di oltre 6 milioni di persone che, prima del Covid, produceva quasi 200 miliardi di Pil e negli ultimi 40 anni è diventato centrale in molte regioni del Paese, una componente strutturale del sistema economico nazionale, soprattutto a NordEst. I valori associati a questo mondo – contare sulle proprie forze, accettare di misurarsi con il mercato senza alcun paracadute sociale, puntare al miglioramento delle proprie condizioni di vita attraverso l’autorealizzazione personale – hanno caratterizzato almeno due generazioni di lavoratori indipendenti.
L’andamento positivo registrato dallo stock di lavoratori autonomi in questi ultimi tre anni è ascrivibile alla ripresa economica maturata dopo l’avvento del Covid. Con un Pil che nel biennio 2021 e 2022 ha toccato livelli di crescita molto elevati è aumentata l’occupazione e conseguentemente anche quella indipendente. Ad allargare la platea degli autonomi ha concorso anche il fisco. L’introduzione del regime forfettario per le attività autonome con ricavi e compensi inferiori a 85.000 euro ha reso meno gravoso di un tempo gestire fiscalmente un’attività in proprio.
Non è nemmeno da escludere che la crescita numerica di questo settore sia riconducibile anche all’incremento delle “false” partite Iva. Grazie al boom dello del lavoro da remoto avvenuto in questi ultimi anni, è probabile che le “finte” partite Iva siano aumentate, anche se, attualmente, il numero complessivo di queste ultime è stimato attorno alle 500.000 unità. Una soglia già raggiunta una ventina d’anni fa.
L’incremento dell’intera platea non ha interessato tutte le regioni. Se nell’ultimo anno il Molise (+8,4%), la Liguria (+8,2%), la Calabria e l’Emilia Romagna (entrambe con il +5,6%) hanno registrato gli aumenti più importanti, per contro l’Abruzzo (-4,9%), l’Umbria (-5,6%), il Trentino Alto Adige (-8,4%) e le Marche (-10,1%) hanno subito le contrazioni più significative (vedere Tab. 1).
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