Le fortissime pressioni per realizzare la pista da bob di Cortina per le Olimpiadi invernali 2026, nonostante la rivisitazione al ribasso del progetto iniziale portato da oltre 120 milioni a 80, nonostante tre gare andate deserte per la sua realizzazione e la partecipazione in corner di un’unica impresa – la Pizzarotti – che, se effettivamente incaricata, dovrà svolgere un’autentica lotta contro il tempo per consegnare l’impianto finito e funzionante, il Cio ha nuovamente gelato gli ardori del governatore veneto Luca Zaia e degli imprenditori regionali, a partire dalla presidente bellunese di Confindustria, Lorraine Breton, e del suo collega di Confindustria Veneto, Enrico Carraro.
Nella seduta odierna del consiglio di amministrazione della Fondazione Milano Cortina 2026, si respirava ottimismo fino all’arrivo della conferma del “No” del Cio, tanto è vero che la strategia era di tenere aperti entrambi i fronti: le procedure per l’appalto dell’impianto cortinese e le trattative con gli impianti esistenti di Innsbruck e di St. Mortiz.
L’amministratore delegato della Fondazione, Andrea Varnier, aveva aggiornato i componenti del consiglio sulla vicenda dell’impianto cortinese in attesa che Simico (Società Infrastrutture Milano Cortina 2026 SpA) sottoscriva il contratto con l’azienda appaltatrice, la Pizzarotti. L’eventuale decisione di affidare i lavori per lo sliding centre a Cortina confermerebbe quindi il masterplan originario che individuava già la Regina delle Dolomiti come la sede, oltre che del curling e dello sci alpino femminile, anche degli sport di scivolamento.
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In virtù del nuovo progetto della pista da bob di Cortina, più contenuto rispetto alla sua versione originaria, il Cda del Comitato organizzatore ha altresì preso atto che l’eventuale decisione di Simico comporterebbe un extra budget per la realizzazione di alcuni allestimenti, ad oggi non previsti e necessari per lo svolgimento delle gare.
Ora, viste le difficoltà temporali per la realizzazione dell’impianto di Cortina – si parla di un cantiere che dovrebbe lavorare su tre turni 24 ore su 24 per cercare di centrare l’obiettivo entro i termini stabiliti dal Cio – e considerati i costi di 80 milioni per allestire un impianto che sarebbe sfruttato da un ridotto manipolo di atleti – circa 30 – quasi tutti altoatesini, da parte degli stessi atleti aumentano le pressioni per abbandonare l’opzione di Cortina e di puntare su Innsbruck che, tra l’altro, garantirebbe anche una logistica migliore, oltre ad aprire ad una maggiore collaborazione all’interno dell’Euroregione Tirolese con uno scenario di evento che sempre più dovrebbe essere quello delle “Olimpiadi Invernali delle Alpi” piuttosto che di un più autarchico “Milano-Cortina”. Tanto più che, in occasione delle recenti Olimpiadi Invernali Giovanili appena disputate l’Italia non è stata in grado di approntare una squadra nazionale e nel bob dei 5 atleti partecipanti 3 erano figli d’arte delle gare dei seniores.
Insomma, comunque si giri la vicenda, il fallimento della pista da bob di Cortina è sotto gli occhi di tutti, così come quello di Cesana delle Olimpiadi del 2006, con l’impianto piemontese rapidamente andato in malora, tanto che oggi per rimetterlo in funzione servirebbero circa una trentina di milioni di euro. Ma il problema vero è costituito dai costi di gestione annuali, che per Cortina, anche nella versione ridotta, sono stimati in circa 700.000 euro l’anno, decisamente tanti, troppi.
Di qui la necessità di prendere atto della situazione e di riporre gli ardori campanilistici per una più pragmatica apertura ad utilizzare gli impianti già esistenti per non sprecare milionate di denaro pubblico.
Poi, se gli imprenditori ne fanno una questione di vita o di morte, largo ai loro portafogli: se ci credono davvero così tanto, investano in prima persona e s’impegnino nella copertura dei costi periodici di manutenzione e di gestione, nella speranza che qualche atleta si avvicini alle discipline. Ma il pubblico s’astenga dall’esercizio nazionale di buttare soldi nel cesso solo per una questione di puntiglio, campanilismo e, perché no, di clientelarismo.
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