Il sistema pensionistico tiene, ma bisogna separare l’assistenza

Crescono occupati più dei pensionati. Vola la spesa per assistenza +126% dal 2012.

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Il sistema pensionistico italiano regge e reggerà anche in futuro grazie alla crescita del numero dei lavoratori attivi e all’aumento dei contributi, mentre è fonte di preoccupazione l’aumento marcato della spesa assistenzialistica, ancora ingiustamente messa a carico del sistema previdenziale.

Secondo il rapporto di Itinerari Previdenziali sui dati 2022, i pensionati tornano a crescere lievemente a quota 16,13 milioni, ma gli occupati aumentano più rapidamente sfiorando i 23,3 milioni (oltre 400.000 in più in un anno) facendo salire il rapporto tra le due grandezze a quota 1,4443 quando nel 2019 toccava però la quota record di 1,4578, miglior dato di sempre), restando ancora lontano da quella soglia “di sicurezza” dell’1,5.

«Oggi il sistema è sostenibile e lo sarà anche nel 2035/40, quando la maggior parte dei “baby boomernati dal dopoguerra al 1980 – in termini previdenziali assai significative data la loro numerosità – si saranno pensionati», spiega il presidente di Itinerari Previdenziali, Alberto Brambilla, sottolineando però la necessità di un significativo cambio di passo, essenziale di fronte «alla più grande transizione demografica di tutti i tempi» e «un debito pubblico che a breve potrebbe sfondare la soglia dei 3.000 miliardi di euro».

Secondo il rapporto, «il sistema previdenziale è sostenibile purché si ponga un limite alle troppe eccezioni alla riforma Monti-Fornero (in termini di anticipo pensionistico) e all’eccessiva commistione tra previdenza e assistenza cui si è assistito negli ultimi anni».

Il sistema pensionistico tiene quindi, grazie alla crescita del lavoro e dei contributi – e ancora meglio si potrebbe fare se l’ammontare degli stipendi, in Italia inchiodati da vent’anni, crescesse con lo stesso livello degli altri paesi europei -, ma è appesantito dall’aumento della spesa per l’assistenza. Secondo il Rapporto, nel 2022 ha raggiunto quota 157 miliardi con una crescita del 126% in 10 anni. Per il welfare nel complesso (previdenza, assistenza e sanità) in Italia si sono spesi nel 2022 559,5 miliardi (+6,2% sul 2021), dedicando a questi settori oltre la metà (il 51,65%) della spesa pubblica totale.

Se la spesa per il welfare nel complesso in dieci anni è aumentata del 29,3%, quella previdenziale ha segnato un +17% (meno della crescita del Pil) e quella assistenziale uno stratosferico +126%. Su 16,13 milioni di pensionati nel 2022 oltre 6,55 milioni (il 40,61%) sono totalmente (3,75) o parzialmente (3,88) assistiti a carico della fiscalità generale.

Per pagare sanità, assistenza e welfare degli enti locali, sostiene il Rapporto, non bastano le imposte dirette, ma bisogna ricorrere a una parte di quelle indirette. Dopo il crollo durante la pandemia, crescono nuovamente e anche per il 2022 le entrate contributive che salgono dell’8% rispetto al 2021, toccando quota 224,94 miliardi di euro, valore ampiamente superiore a quello pre-pandemico.

Nel complesso, la spesa pensionistica di natura previdenziale comprensiva delle prestazioni Ivs (invalidità, vecchiaia e superstiti), spiega il Rapporto separando i pesi di previdenza e assistenza, è stata nel 2022 di 247,588 miliardi, per un’incidenza sul Pil del 12,97%, in riduzione rispetto al 13,42% del 2021. Al netto degli oneri assistenziali per maggiorazioni sociali, integrazioni al minimo e Gias (Gestione degli interventi assistenziali) dei dipendenti pubblici, l’incidenza scende al 11,72%, dato più che in linea con la media Eurostat. La percentuale cala addirittura all’8,64% escludendo anche i circa 59 miliardi di imposte (Irpef) che in molti Paesi dell’Unione o di area Ocse sono molto più basse, quando non del tutto assenti, sulle pensioni.

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