Mar Rosso: attacco Usa e GB ai ribelli Houthi per difendere il traffico merci globale

La questione strategica: a difendere gli interessi dell’Unione europea ci sono le forze di due stati alleati che non appartengono all’Ue. Bruxelles balbetta come al solito.

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mar rosso

Le tensioni attorno alla porta meridionale del Mar Rosso che si affaccia sullo stretto di Bab El Mandeb hanno fatto un nuovo salto di qualità con la risposta dell’aeronautica americana e inglese che ha bombardato le basi dei ribelli Houthi nello Yemen settentrionale da dove partono i continui attacchi con razzi e droni al traffico navale commerciale.

La risposta è stata decisa e doverosa. Peccato solo che a difendere un teatro strategico per il commercio internazionale e per l’economia del Mediterraneo (e di gran parte dell’Unione europea) ci siano le forze di due stati, sì alleati ma che non appartengono all’Unione europea, Stati Uniti e Gran Bretagna. Le navi inviate nell’area da Francia, Italia, Paesi Bassi sono state a guardare le operazioni condotte dagli alleati.

Il problema è di ordine geopolitico, perché nell’area l’Unione europea rischia grosso. Già ora, lo spostamento delle rotte delle navi mercantili che portano nel continente materie prime e componentistica per la manifattura europea ha comportato allungamenti nei tempi di consegna con conseguente fermata di molte linee produttive, a partire dall’automotive. C’è poi l’aspetto della spinta all’inflazione, con l’aumento generalizzato delle quotazioni dei prodotti energetici e delle materie prime, così come dei noli delle navi, che nel giro di qualche settimana faranno sentire i loro effetti con un rialzo dei corsi che stavano tendendo al ribasso, con un possibile allontanamento anche del ribasso dei tassi d’interesse che stanno asfissiando l’economia europea.

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Bruxelles dovrebbe seriamente interrogarsi su come agire, senza attendere che siano gli altri a risolvere una grana che i 27 non sanno affrontare in modo deciso e coeso, con una strategia unitaria a difesa dei propri interessi strategici ed economici.

Secondo un’analisi di S&P Global Market Intelligence dalla rotta via Suez passa il 41,3% dei veicoli e il 20,8% dei componenti per auto scambiati tra Europa, Medio Oriente e Nord Africa. Rischi elevati sono individuati anche per abbigliamento, elettrodomestici, chimica, siderurgia, giocattoli e alcuni prodotti agricoli, come olio di palma, riso e tè.

Attraverso lo stretto di Bab El Mandeb passa il 12% del commercio mondiale, di cui il 30% è costituito dal volume totale di container, il 5% del greggio mondiale, il 10% dei prodotti petroliferi raffinati e l’8% del gas liquido via mare.

Per l’Italia, le tensioni nel Mar Rosso valgono un botto: quasi il 40% dell’intero interscambio marittimo che nel complesso assomma a 154 miliardi di euro. Per non dire poi delle perdite che stanno registrando in termini di mancati scali e movimentazioni di navi e container i principali porti italiani, Gioia Tauro, Trieste e Genova, similmente agli scali portuali di Francia, Spagna, Olanda e Germania.

Le tensioni nel Mar Rosso hanno già avuto un impatto pesante sul trasporto merci. Tra la fine di dicembre e i primi giorni di gennaio, secondo uno studio di Srm (che fa capo a Intesa Sanpaolo), i transiti di navi Ro-Ro per la movimentazione di autoveicoli sono diminuiti del 49%, al terzo posto nella classifica delle fughe dal Canale, dopo le portacontainer (-72%) e le unità per il trasporto di Gpl (-60%); mentre le metaniere sono calate del 35%. È facile prevedere un ulteriore crollo dopo l’attacco angloamericano in Yemen.

E gli effetti si riverberano anche sull’intera catena logistica, con i tempi di percorrenza che si dilatano dai 28-30 giorni attraverso il canale di Suez agli oltre 40 con la circumnavigazione dell’Africa per portare le merci da Oriente in Europa e viceversa, con forti rischi per l’esportazione di prodotti deperibili, come l’agroalimentare italiano che sta ottenendo sempre più riconoscimenti sul mercati del lontano oriente i cui maggiori tempi di consegna potrebbero metterne a rischio la presenza sui mercati, oltre all’aumento delle quotazioni presso i consumatori che, secondo una stima di Coldiretti, rischiano di crescere dai 5-7 centesimi di euro al chilo, mettendone a rischio la competitività sui mercati internazionali.

Vista la posta in gioco, sarebbe il caso di non lasciare a paesi terzi la difesa degli interessi economici e strategici dell’Unione europea e uscire da un improponibilearmiamoci e partite”, così come si è finora fatto sul teatro ucraino, dove gli sforzi europei si sono rivelati un fallimento.

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