Governo Meloni, già finita la luna di miele con l’economia

I dati dei sondaggi sul gradimento del governo e del premier hanno subito un vistoso calo determinato dalla disaffezione delle categorie produttive che non hanno avuto le risposte che si attendevano dalle promesse elettorali.

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Governo Meloni

Il sondaggio di Nando Pagnoncelli pubblicato sul “Corriere della Sera” dell’ultimo dell’anno evidenzia come il gradimento sull’azione del governo e del suo premier Giorgia Meloni sia decisamente in calo, passando rispettivamente da 54 a 44 punti e da 58 a 44. Un calo che è stato motivato, secondo l’Ipsos, dalla crescita della disaffezione del mondo del lavoro autonomo, commercianti ed artigiani in primis, con valori che sono doppi rispetto all’incremento della delusione fatto registrare dall’intero corpo elettorale.

Una situazione allarmante, che si va ad aggiungere al fatto che nel corso della conferenza stampa di fine anno (slittata per i problemi di salute della stessa Meloni al 4 gennaio) dove si è parlato di tutto e di più, ma ben poco di economia, di taglio della burocrazia, semplificazione, costo dell’energia, condizioni di competitività del sistema Italia rispetto alla concorrenza internazionale.

Il problema è che il governo Meloni pare fin troppo attento verso minoranze di blocco che vivono delle rendite pubbliche come i titolari di concessioni, a partire dai 160.000 ambulanti, i 23.000 taxisti e i 7.000 titolari di stabilimenti balneari, anche complice delle posizioni populiste e antieuropee della costola di maggioranza della Lega Salvini, mentre di fatto si è finito con il trascurare categorie ben più importanti ed elettoralmentepesanti”, come gli artigiani (1,5 milioni) e i commercianti (oltre 2 milioni) per i quali negli ultimi anni, specie dalla pandemia in poi, si è fatto poco o nulla. E le attese di questi milioni di elettori che avevano riposto nel centro destra e soprattutto in quei Fratelli d’Italia fondati da Giorgia Meloni sono state quasi tutte disattese.

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Non è un mistero che le categorie produttive abbiano iniziato a guardarsi attorno alla ricerca di un nuovo interlocutore per cercare risposte ad una pressione fiscale asfissiante per i contribuenti onesti, costo dell’energia stellare, burocrazia asfissiante e regole operative ballerine. Meloni è ancora in tempo ad operare un cambio di passo, specie se vuole presentarsi come candidato bandiera alle elezioni europee – ben sapendo che non potrà tenere fede al mandato ottenuto dagli elettori sempre che non si dimetta dal parlamento e governo italiano – ed incassare un buon successo. Solo che non si può ripagare il consenso elettorale già ottenuto solo con un calcio nelle terga.

La necessità di cambiare rotta è imposta anche dagli assetti economici del 2025, dove già dal prossimo marzo si deve iniziare ad imbastire la prossima manovra finanziaria che ha già vincolato una trentina di miliardi per confermare il taglio del cuneo fiscale, l’avvio della riforma fiscale e contenere entro l’1,5% il disavanzo annuale.

Un compito improbo che se è limitato sul fronte puramente finanziario, lascia invece una prateria per il taglio della burocrazia, il taglio degli sprechi, la riduzione della spesa pubblica e l’incremento dell’efficienza. Tutti provvedimenti strategici per chi intraprende e opera senza le generose reti di protezione stese dallo Stato per lavoratori dipendenti, disoccupati e pensionati, che hanno due vantaggi: non costare nulla al bilancio e liberare risorse sia per il bilancio pubblico che per quelli delle imprese. Il che non è affatto poco, sempre ammesso e non concesso che Meloni riesca ad attuare un’operazione da maniscalco – non da pedicure – sulle rendite di posizione.

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