La Corte d’Appello assolve l’ex Presidente del CdA di una società di elettronica dal reato di bancarotta

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L’avv. Luca Ponti di Udine ha difeso, subentrato nella difesa in secondo grado dopo che l’interessato era stato inizialmente condannato, l’ing. Giuseppe Scirè, ex Presidente del Consiglio di Amministrazione di una società di elettronica.

L’avv. Ponti ha ottenuto per lui l’assoluzione da parte della Corte d’Appello a Bologna, dopo l’esito di primo grado del Gup di Bologna, che con rito abbreviato aveva ritenuto la penale responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta impropria e per false comunicazioni sociali.

Il caso era particolarmente interessante e nuovo per la seguente peculiarità. I falsi in bilancio per più esercizi causativi del dissesto e contestati all’ing. Scirè si erano verificati precedentemente l’ultima riforma dei reati societari di cui alla legge 69/2015, sia quanto alla condotta della falsificazione supposta che a quella del relativo evento del fallimento, il tutto però senza che mai fosse stata formalizzata una contestazione in conformità alla normativa pre vigente la riforma dei reati societari citata.

Le indagini e quindi il processo si erano aperti in epoca successiva al 2015 e la Procura aveva contestato le false comunicazioni sociali causative del dissesto sulla sola base del paradigma normativo sopravvenuto all’epoca delle indagini (legge 69/2015).

Nella sentenza, peraltro, il Gup del Tribunale di Bologna aveva rilevato e dato atto dell’insussistenza delle diverse previsioni (per esempio le soglie qualitative e quantitative) di cui alla disciplina antecedente alla riforma della legge 69/2015.

La difesa, in sede d’appello, ha invece lamentato la violazione in sé dell’obbligo sotteso alla generale previsione di cui all’art. 2 c.p., segnatamente nel non avere contestato formalmente il paradigma normativo più favorevole e vigente in epoca antecedente alla riforma, a prescindere dal vaglio interno operato dal Gup al riguardo, nel rigoroso rispetto del diritto al contraddittorio sulla normativa effettivamente applicabile al caso concreto.

Accogliendo le tesi difensive, la Corte d’Appello ha sentenziato l’assoluzione “perché il fatto non sussiste”, riformando quindi sul punto specifico la sentenza di condanna di primo grado.

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